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Home > Le 5 giornate del jazz > Comunicati stampa > Presentazione del curatore Paolo Fresu
Le 5 giornate del jazz
Presentazione del curatore Paolo Fresu

Quando ho ricevuto l’invito a preparare e coordinare una serie di conferenze sul jazz ho pensato che l’atteggiamento migliore sarebbe stato quello di non uscire dal mio ruolo di artista e di stimolatore culturale.
Ci sono vari modi infatti di leggere o rileggere la storia del jazz. Sono tanti quante sono le personalità straordinarie delle migliaia di artisti che hanno letto e stanno oggi rileggendo il ricco patrimonio di questa musica nel tentativo di innestare il passato nel presente, per dare senso al futuro e alla contemporaneità odierna.
Lo standard nel jazz è quel materiale popolare e conosciuto che diventa (o può diventare) pretesto per muoversi in un territorio originale e personale. Quanti hanno suonato “Caravan” di Ellington cercando da una parte di rispettare la composizione originale e nello stesso tempo di aggiungere qualcosa di proprio? E quanti sono partiti dalla forma AABA di una canzone per scandagliare il significato più profondo di una melodia o il significato e la magia del suono o della frase?
Leggere la storia del jazz attraverso cinque o più trombettisti è per me il modo di usare uno strumento musicale come strumento “altro” per raccontare uno stile musicale che, più di altri, è strettamente legato al corpo, al pensiero, alla società, la religione e la storia con le sue evoluzioni repentine del secolo appena trascorso.
La tromba è inoltre uno strumento non solo diretto ma popolare, capace di arrivare e colpire nel cuore e nella mente. Personaggi come Louis Armstrong, Dizzy Gillespie e Chet Baker sono stati non solo dei grandi strumentisti ma anche degli ottimi ed originali cantanti che hanno stravolto la tecnica ortodossa della voce ed assieme a Miles Davis, ‘bird’ libero come Parker, hanno sconfinato dal piccolo mondo del jazz verso quello di una popolarità tipica di “altre” musiche come il Pop o il Rock.
La tromba è dunque non solo strumento comunicativo ma anche estensione naturale, assieme alla voce, del corpo che respira e che pensa.
Cinque storie e cinque personalità completamente diverse tra loro per raccontare un’epoca irraccontabile e sfuggente. Fatta di porte aperte ed altre chiuse o socchiuse; di stili che si perdono in mille rivoli musicali. Fatta di storie tristi e dure e di poesia. Di suoni laceranti a volte terribilmente sereni e delicati. Fatta di voci, di gesti, di fotografie e di smoking, ma anche di corpi multicolori tra il bianco e nero della storia recente.
Se il jazz è stato ed è questo perché non raccontarlo con il contributo di cinque relatori che lo leggono e lo raccontano a loro volta in modo diverso? E perché non assieme ad un gruppo di amici musicisti che amano la tradizione, coscienti della necessità di essere parte dell’attualità di oggi?
La mia speranza è che questi cinque incontri possano risultare completamente diversi l’uno dall’altro. Se è vero che tra lo stile di Dave Douglas e Louis Armstrong c’è apparentemente poco in comune, è altrettanto vero che la storia del jazz è legata da un inesorabile filo conduttore. Una sorta di filo di Arianna che proveremo a trovare (o ritrovare) durante questi cinque appuntamenti tessendo una maglia fatta da tanti contributi diversi attraverso le voci di Stefano Zenni, Luigi Onori, Enrico Merlin, Giuseppe Vigna e Stefano Merighi.

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