Incontri reali
da Masaccio a Pietro Longhi
 
HOME
  PITTORE PADOVANO DI SCUOLA MANTEGNESCA
 


Conversioni operate da San Marco nel deserto

frammento con la Predica di San Marco
affresco staccato (trasportato su tela), cm 142x70
Museo d'Arte Medievale e Moderna di Padova

Il Museo Civico di Padova conserva tre frammenti che rappresentano quanto rimane della decorazione ad affresco che rivestiva le pareti della sala capitolare situata al primo piano della Scuola di San Marco evangelista e San Sebastiano martire. L'oratorio, costruito nel 1475, venne chiuso al culto a seguito delle soppressioni napoleoniche del 1810 e nel 1818 se ne stabiliva la demolizione, anche perché versava in gravi condizioni di conservazione. Giuseppe Zeni, un restauratore che giocò un ruolo di fondamentale importanza nei riguardi della tutela di molte opere pittoriche padovane, destinate dai provvedimenti governativi alla distruzione, nei primi vent'anni del XIX secolo, si incaricò di recuperare quanto possibile dei dipinti.

Ma in una lettera del 15 ottobre 1818 al podestà di Padova si rammarica di essere riuscito a salvare solo questi tre frammenti, gli unici in buone condizioni, mentre non fu possibile nessun recupero delle parti troppo danneggiate. Dagli atti comunali risulta che i tre frammenti recuperati furono collocati nel Palazzo municipale, nelle stanze del segretario e, quando venne istituita la Pinacoteca Civica, nel 1857, i frammenti passarono a questa nuova istituzione. Nulla si conosce dai documenti d'archivio in merito sia al responsabile della decorazione sia alla cronologia. Il Rossetti, che vide la decorazione ad affresco della sala capitolare ancora integra, la credeva eseguita nel 1481 da "Andrea Mantegna o piuttosto da alcuno della sua scuola". La data del 1481, tramandata già dalle guide settecentesche, potrebbe non essere del tutto improbabile per ciò che concerne l'esecuzione del ciclo ed è stata riconfermata anche recentemente. Il Brandolese la definiva in generale "onorevole testimonianza della florida scuola del nostro Squarcione" e proseguiva: "i comparti meno danneggiati, i quali rappresentano le ultime azioni della vita di San Sebastiano, si accostano tanto al Mantegna, che si potrebbero facilmente prendere per sue operazioni. Altri comparti sono certamente opere dei condiscepoli di questo pittore, ma che gli restano addietro nel disegno, nel colorito e specialmente nella prospettiva".

top

Dopo la distruzione degli affreschi i giudizi dei critici si fondano sull'analisi dei frammenti conservati oggi nella Pinacoteca comunale, che indubbiamente sono della stessa mano. Cavalcaselle, De Toni e il Venturi condividevano l'opinione che i dipinti fossero della scuola del Mantegna e il Venturi non dubitava che egli avesse diretto il ciclo. Essendo stato costruito l'edificio nel 1475 la critica recente (Puppi) tralascia il nome del Mantegna, che si allontana da Padova già nel 1460. Purtroppo, pur essendo in genere abbastanza cospicua la documentazione di archivio su opere patavine nel quattrocento, non esistono documenti per le imprese pittoriche condotte dagli artisti in questa Scuola. Le copie degli affreschi disegnate dal Pizzi registrano una chiara derivazione di tutto l'impianto compositivo, architettonico e figurale dagli affreschi della cappella Ovetari agli Eremitani di Padova. L'autore degli affreschi va cercato tra quelli usciti alla ribalta nella scena pittorica locale nel momento che aveva fatto seguito alla partenza dalla città del Mantegna e degli altri discepoli dello Squarcione. Nel 1976 Puppi proponeva di inserire il frammento Predica di San Marco nel catalogo di Angelo di Bartolomeo, chiamato anche Zoppo o Zotto. Riteneva l'opera intimamente legata all'Assunzione della Vergine della parrocchiale di Trebaseleghe, attribuita, per via documentaria alla società di Angelo di Bartolomeo (Zotto) -Francesco di Giacomo dalle Pescherie. Mauro Lucco nel 1977 e poi nel 1985 accoglieva tale proposta e aggiungeva alla Predica di San Marco altri lavori della stessa mano come il frammento di tavola con San Giovanni Evangelista e Sant'Antonio da Padova, reperito nel Santuario della Madonna delle Grazie di Piove di Sacco, a Angelo di Bartolomeo, riscontrando in tali opere la stessa artigianale corsività di scrittura, nel riferimento a modelli mantegneschi e muranesi, che contraddistingue i due frammenti provenienti dalla Cappella Granda dell'antica parrocchiale di Trebaseleghe. Andrea de Marchi, nel 1995, nel quadro di una nuova ricognizione che aveva l'obbiettivo di verificare il catalogo del Di Brtolomeo, riprendeva in considerazione il gruppo stilistico individuato da Puppi e poi ampliato da Mauro Lucco confermava, a sua volta, che la Predica di San Marco dovrebbe essere responsabilità della prolifica bottega di Angelo di Bartolomeo.
Di Angelo di Bartolomeo si hanno notizie dal 1469 al 1486. Figlio di Bartolomeo da Fiumicello è citato dai documenti padovani con il soprannome di Zotto o Zoto, in latino claudus. Iscritto dal 1469 nella Fraglia dei pittori di Padova. Nel 1472 venne incaricato dall'arca del Santo di completare la decorazione della cappella Gattamelata ma venne poi sostituito da Jacopo da Montagnana. Insieme a Francesco di Giacomo venne ingaggiato dalla Confraternita del Gesù per la pittura di due tavole. Nel 1478 di nuovo in società con Francesco eseguiva una pala ad olio per Nicolò di Tonino Guidoni. Dal 1484 al 1486 è impegnato nella decorazione della Cappella Granda dell'antica parrocchiale di Trebaseleghe di cui è rimasto in loco l'affresco rappresentante l'Assunzione della Vergine, l'unica opera che gli si può attribuire con certezza. Nonostante le autorevoli proposte di attribuzione, basate però unicamente su affinità stilistiche e in mancanza di qualsiasi documentazione, risulta arduo conferire una paternità certa a questa testimonianza sopravvissuta alle ingiurie del tempo.

top


Bibliografia: A. De Nicolò Salmazo, Da Bellini a Tintoretto, 1991, pp. 66-69, con ampia bibliografia; Idem, La pittura nel Veneto, Il Quattrocento, 1989, II, p. 481; Mauro Lucco, Paragone, 323, 1977, pp. 117-118; Lionello Puppi, Angelo Zotto et quelques fresques padouanes du Xve siècle, Bulletin du Musée Hongrois des Beaux-Arts, 1962, pp. 31-43; Andrea de Marchi, Un punto fermo per Angelo Zoppo padovano "ignobile pittore", Bulletin du Musée Hongrois des Beaux-Arts, 1995, Budapest, pp. 69-91;

Padova e dintorni al tempo di Donatello, Mantegna e Michael Pacher

L' autore degli affreschi dell'oratorio della Scuola di San Marco Evangelista e San Sebastiano martire, di cui abbiamo un frammento in esposizione, si presenta come un tardo estimatore della decorazione della cappella Ovetari, portata a termine dal Mantegna. Ci permette pertanto di affrontare il tema dello sviluppo dell'arte nella città di Padova intorno alla metà del XV secolo fino all'esecuzione dell'opera stessa collocabile al 1481. E' un periodo di particolare interesse per noi altoatesini, in quanto coincidente con l'attività del maggior artista tirolese Michael Pacher, un artista di respiro europeo per la riuscita sintesi che compie tra le aspettative locali, le novità dell'arte nordica e di quelle provenienti dall'Italia, novità che conobbe con la mediazione di quanto prodotto in quegli anni a Padova.

Padova fu il centro dell'Italia settentrionale più pronto a raccogliere e a sviluppare lo stile rinascimentale, già prima della metà del '400. La presenza in città dell'umanista Palla Strozzi, ricchissimo banchiere fiorentino in esilio per volontà di Cosimo il Vecchio, è forse il tramite per l'arrivo in Veneto di artisti toscani tra i quali: Filippo Lippi, Paolo Uccello e Andrea del Castagno. Sull'importanza di queste presenze gli studiosi hanno variamente insistito, è difficile valutare la loro incidenza perché è rimasto ben poco della loro opera e delle opere delle botteghe locali del tempo.

Ben diverso è il ruolo svolto da Donatello nel corso del suo soggiorno padovano che si prolunga per più di un decennio (1443-54). E' portatore della cultura umanistica fiorentina che ha una rinnovata attenzione per l'uomo. Ciò avviene, anche e soprattutto, attraverso il recupero della cultura classica dei valori letterari, plastici e figurativi dell'antichità, in quanto patrimonio di uomini di cui a Firenze ci si sentiva eredi, fenomeno culturale che a posteriori verrà definito rinascimento. Padova, con la sua venuta, può porsi di nuovo come città di riferimento per la cultura figurativa, come lo era stata già al tempo di Giotto. Donatello è l'indiscusso protagonista del rinnovamento, in senso rinascimentale, del linguaggio artistico dell'Italia settentrionale. La prima opera che realizza a Padova (1444) è il Crocefisso in bronzo, collocato nel coro della Basilica nel 1447. Donatello supera il realismo gotico dei crocifissi lignei consueti con l'idealizzazione del corpo umano appresa dall'arte classica. Probabilmente la commissione per la statua equestre al Gattamelata gli era nota già quando lasciò Firenze. La statua gli permise di utilizzare al massimo le sue conoscenze della scultura antica e di dimostrare anche la sua abilità tecnica. Ma l'opera più complessa, che gli venne commissionata, fu l'altare maggiore della Basilica di Sant'Antonio, una delle più importanti realizzazioni della sua carriera. Purtroppo venne smantellato nel 1579 e l'attuale ricostruzione del 1895, dovuta al Boito, non è fedele e non rende l'idea di come fosse. La Pala di San Zeno a Verona del Mantegna, che trae quasi certa ispirazione dall'altare di Donatello, può darci un'idea della sua struttura originaria. Quando, verso il 1445 -1450, realizzò i pannelli della predella dell'altare maggiore a Padova, raffiguranti i Miracoli di Sant'Antonio, l'artista aveva dietro di sé l'esperienza di un'intera vita di lavoro a contatto con i massimi protagonisti del Rinascimento fiorentino, Brunelleschi e Masaccio. "I quattro pannelli costituiscono uno dei maggiori cicli narrativi del Quattrocento. Lo scultore riesce a riunire davanti a strutture architettoniche di una complessità degna di Piranesi, folle eccitate di spettatori che si accalcano intorno ai punti focali dei miracoli, proprio come farebbe oggi un regista di cinema o di teatro" (C. Avery). I rilievi suscitarono, secondo il Vasari, immediato interesse e ammirazione presso tutti gli artisti: "queste istorie, le quali sono di bassorilievo e talmente con giudizio condotte, che gli uomini eccellenti di quell'arte ne restano meravigliati e stupiti, considerando in essi i belli e variati componimenti, con tanta copia di figure e in prospettiva diminuiti". Con l'altare maggiore della Basilica del Santo e con il monumento equestre del Gattamelata si affollano intorno a lui innumerevoli collaboratori e allievi e il suo pensiero diviene egemone. Poco prima di ritornare a Firenze, nel corso del 1453, probabilmente esegue la statua lignea di San Giovanni Battista per i Frari di Venezia. Con Donatello presente in città il grande fervore umanistico, letterario ed artistico, che già aveva investito la città assume un senso del tutto nuovo e produttivo.

La presenza degli artisti fiorentini non basta, però, a spiegare i caratteri dell'arte padovana a metà del secolo. La scuola - bottega dello Squarcione, fondata sull'accordo tra espressionismo di marca donatelliana e tradizione tardo-gotica locale, fu determinante per la formazione di una koiné culturale tra Padova, Ferrara e Venezia tra il 1450 e il 1470, nata giusto da "quelle brigate di disperati vagabondi figli di sarti, di barbieri, di calzolai e di contadini che passarono in quei vent'anni nello studio dello Squarcione a studiare Donatello" (Longhi). La schiera di allievi dello Squarcione fu straordinaria: emergono, tra tutti, Andrea Mantegna, Carlo Crivelli, Marco Zoppo e lo Schiavone. Ma molti furono i pittori che compirono i loro corsi di aggiornamento facendo capo a quella bottega.

top

Il più straordinario allievo dello Squarcione fu il precocissimo Andrea Mantegna. Lo stesso Vasari si meravigliò della Pala di Santa Sofia che sembrava secondo lui "fatta da un vecchio ben pratico e non da un giovanetto". Anche la partecipazione agli affreschi della cappella Ovetari, nel braccio destro della chiesa degli Eremitani, confermano il riconoscimento e l'autonomia artistica del pittore. La scelta da parte dei committenti di creare due squadre, i muranesi Giovanni D'Alemagna e Antonio Vivarini e i giovani Nicolò Pizolo e Andrea Mantegna, denuncia l'orientamento dei gusti, in materia artistica, dei più colti committenti padovani, che si orientano ancora verso i maestri tardogotici veneziani ma ormai accettano le sperimentazioni dei più giovani pittori locali, di cui il Pizolo dava forti garanzie, avendo lavorato con Donatello. Poi il Mantegna restò di fatto solo nel completare l'opera ed eseguì, uno dopo l'altro, grandi capolavori, andati persi durante un bombardamento nella seconda guerra mondiale, salvo quelli che erano stati fortunatamente staccati, per un restauro, come il Martirio di San Cristoforo e Trasporto del corpo di San Cristoforo (1455-1457) e ora ricollocati al loro posto. A questi lavori ha guardato l'anonimo che ha dipinto, verso il 1481, il frammento con la Predica di San Marco in esposizione. Mantegna è anche a Ferrara (1449), dove si aggiorna con la conoscenza di Piero della Francesca e di Roger van der Weyden. Entra in contatto con l'ambiente veneziano tramite il matrimonio con la figlia di Jacopo Bellini, sorella di Giovanni, con i quali instaurerà proficui rapporti. Jacopo Bellini è pittore di cultura tardo-gotica che fu a Firenze, intorno al 1423, come aiuto di Gentile da Fabriano, quando Brunelleschi e Masaccio compivano i loro primi esperimenti prospettici. Poi fu a Ferrara assieme a Leon Battista Alberti, il grande prospettico, al servizio di Lionello d'Este. Il figlio Giovanni Bellini sarà il più grande pittore di Venezia della seconda parte del Quattrocento. Partito da posizioni non lontane da quelle del cognato Andrea Mantegna la sua ricerca, decisiva per le sorti della pittura veneziana, si incrociò con quella di Antonello da Messina, presente a Venezia tra il 1474-76. Costruisce le scene in un perfetto spazio prospettico, dimostrando anche lui di aver appreso la lezione di Piero della Francesca. Tra il 1456 e il 1459 Mantegna esegue per Gregorio Correr la Pala di San Zeno per l'omonima basilica veronese. La pala è universalmente riconosciuta come la più innovativa degli inizi del Rinascimento. Il Mantenga supera lo schema tradizionale del polittico, dove ogni tavola veniva concepita come singola unità, indipendente dalle altre e crea una illusionistica stanza con l'uso sapiente della prospettiva. Concezione che verrà ripresa dal Pacher per il suo capolavoro l'Altare dei Padri della Chiesa. Nell'estate del 1460 Mantegna si trasferisce a Mantova chiamato da Ludovico II Gonzaga. Nella Camera degli Sposi raffigurerà Paola Gonzaga bambina, futura moglie del Conte Leonardo di Gorizia-Tirolo. Partito il Mantegna Padova perde il ruolo di protagonista e lo cede alla Venezia di Giovanni Bellini. Poco alla volta si allontanano dalla città "quelle brigate di disperati vagabondi" che erano venuti anche per la presenza di Donatello: lo Zoppo in direzione di Bologna, lo Schiavone verso la Dalmazia e Carlo Crivelli, che si avvicina al drammatico linguaggio di certa pittura tedesca per cui risulta affine a Pacher, peregrinò fino ad arrivare nelle Marche. I pittori locali assumono la tendenza a riproporre, in una dimensione di conservatorismo, le idee maturate intorno alla metà del secolo, siano esse squarcionesche o mantegnesche.

top