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Gran Paradiso IV (Weisshorn)

Riproduzione dettagliata (gesso e legno) del Weisshorn/Corno bianco su base quadrata.

Denominazione oggetto:
scultura, installazione
Numero d'inventario:
1873
Autore:
Huber, Stephan
Collezione:
Collezione Museion
Data:
1997 - 1998
Luogo raffigurato:
Corno Bianco
Materiale:
gesso, legno
Tecnica:
montato
Istituzione:
Fondazione MUSEION. Museo d'arte moderna e contemporanea Bolzano
Dimensioni:
opera altezza 257 cm, opera larghezza 160 cm, opera profondità 170 cm
Note storico-critiche:
"Stephan Huber è un artista estremamente versatile e di conseguenza la sua opere è ricca di sfaccettature. Alla Biennale di Venezia del 1999 presentò in uno dei giganteschi padiglioni dell'Arsenale alcuni monumentali monti bianchi dell'area alpina; tra i monti era posto un neon blu che con la sua forma riproduceva il corso del Po. Queste opere sono in parte riproduzioni dettagliate di monti esistenti realmente, mentre per altre si tratta di formazioni montuose modificate o immaginarie. Un aspetto importante delle montagne di Huber è rappresentato dal contrasto tra forma monumentale e levità della materia suggerita dalla colorazione bianca. Un ulteriore elemento di tensione nasce dalla contrapposizione tra la sublimità del motivo e lo sfruttamento quasi industriale delle montagne imposto dal turismo. Le finte carte geografiche che accompagnano l'installazione di Huber trasformano i paesaggi in un sistema di segni fatto di linee, parole e nomi."
(testo tratto dalla mostra "Stanze", Museion, Bolzano 16.03 - 02.06.2002)

"Con le sue montagne Huber riprende un motivo che ha avuto una grande importanza nell’arte figurativa e nella letteratura soprattutto a partire dal 18esimo secolo.
Si noti che le montagne per molti secoli non sono state percepite quali manifestazioni estetiche, ma solamente come luogo terribile e avverso alla vita umana contrapposto al mondo vivibile e civilizzato. In “Del sublime” di Edmund Burke la montagna diventa poi il punto culminante di un concetto di bellezza che si basa proprio sulla sua ostilità. Le cime innevate, bianche e inaccessibili emanano una bellezza glaciale la cui forza consta proprio nel fatto di non avere bisogno degli uomini e di palesare il dominio incontrastato della natura create da Dio.
Da allora la rappresentazione delle montagne segue una doppia strategia: celebra il concetto di natura la cui sublimità è costituita dalla sua indipendenza dagli uomini. E Placa lo sgomento insito in questo con l’immagine estetica, e in quanto tale godibile e dominabile. Ancora oggi in ogni nuova spettacolare zona sciistica, resa accessibile da quelle corsie di trasporto tra gli alberi sui fianchi rocciosi delle montagne chiamate eufemisticamente “impianti di risalita”, vi è un ultimo residuo di questa paradossalità tra nostalgia di sublimità incontaminata e la sua vanificazione per mezzo dello sfruttamento di massa. Huber utilizza proprio questa paradossalità nella sua tematizzazione della montagna.
Le montagne cui fa riferimento possono essere sia fittizie (come ad esempio il monte in “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Steven Spielberg), che riproduzioni di cime reali precise dal punto di vista topografico. In quanto modelli in gesso diventano appunto costrutti estetici dominabili e collocabili sullo scaffale, costrutti nei quali le ha trasformate una pratica culturale e turistica sviluppatasi nell’arco di secoli."
(Stephan Berg, "Stephan Huber" in: Stanze II, Museion, Bolzano, 2002, pag. 22)

 

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