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La prigionia nei campi italiani – Cartoline postali di Richard Müller a sua moglie

Lascito Helene e Richard Müller, n. 6

Fino alla fine di ottobre 1918 da parte italiana risultavano registrati 180.000 prigionieri di guerra, distribuiti nei campi di detenzione sparsi sul territorio peninsulare e insulare. Dopo la sottoscrizione dell’armistizio, il 3 novembre 1918, e l’immediato e disorganizzato rientro in patria delle truppe austro-ungariche ulteriori 300.000 membri dell’esercito austriaco caddero prigionieri delle truppe italiane e alleate, fatto che comportò non da ultimo una grande sfida logistica.
Le condizioni di detenzione variavano molto da campo a campo, in alcuni i prigionieri vivevano una quotidianità sopportabile ed erano ben rifocillati, in altri invece morivano a centinaia a causa del freddo, della malnutrizione o delle malattie (colera, dissenteria) – così ad esempio sull’isola Asinara. Alle sofferenze fisiche si sommavano per molti soldati anche afflizioni psichiche: il senso di isolamento, il trauma causato da esperienze di estrema violenza, molestie perpetrate da altri detenuti, l’eterna attesa della propria liberazione e soprattutto la preoccupazione per i propri cari fecero precipitare molti prigionieri nella rassegnazione e nella depressione, talvolta fino alla perdita della ragione.
Richard Müller, in qualità di tenente, ebbe visibilmente più fortuna di molti soldati semplici. Sembra non aver subito maltrattamenti e aver ricevuto cibo a sufficienza. Gli alti graduati venivano perlopiù trattati in modo privilegiato, erano detenuti in strutture migliori, godevano di vari “favoritismi” ed erano esentati dai lavori forzati. Ciò a cui anche Müller accenna nelle sue carte è l’estenuante preoccupazione per il benessere della propria famiglia, dalla quale non aveva più ricevuto notizie da oltre due mesi, le sue cartoline postali spedite nel tardo autunno/inverno 1918/19 erano infatti evidentemente andate perse. Come molti altri membri delle i. e r. truppe, Richard Wilhelm Müller, nato a Vienna nel 1883, sposato dal 1913 con Helene Hinträger da Gries e impiegato dal 1915 al 1918 come ingegnere della milizia territoriale sul fronte sudoccidentale, era stato fatto prigioniero dalle truppe italiane poco dopo la sottoscrizione dell’armistizio. Egli fu frequentemente trasferito da un campo di prigionia a un altro, così, come si deduce dalle sue stesse indicazioni, fu internato a Verona, più tardi a Bellagio sul lago di Como e successivamente ancora a S. Pellegrino di Bergamo, mentre da inizio febbraio 1919 redisse la propria documentazione dal campo di Portoferraio sull’isola d’Elba. In una delle sue annotazioni osservava che i nati prima del 1885 venivano rilasciati più facilmente ed egli poté effettivamente far ritorno a Bolzano già alla fine di marzo 1919, mentre la gran parte delle truppe austro-ungariche poté rientrare in patria soltanto a partire da luglio 1919.
Come già prima della guerra, dopo il suo ritorno tornò ad insegnare presso l’Istituto tecnico statale di Bolzano. Tra il 1935 e il 1939, a causa di diversi contrasti con le locali autorità fasciste, subì dei trasferimenti punitivi nell’Italia centrale e meridionale; dopo il suo ritorno a Bolzano, tra il 1940 e il 1943, fu membro della cosiddetta commissione culturale delle SS-Ahnenerbe e collaborò al rilevamento topografico sistematico dei monumenti architettonici e artistici in Alto Adige. Dopo la fine della guerra Richard Müller insegnò nuovamente presso la Scuola professionale di Bolzano, della quale fu anche preside fino alla sua morte, nel dicembre 1954.

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