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Contributo del Prof. Angelo M. Franza direttore scientifico, staff group conductor e supervisore del Master:

L'ESPERIENZA DI FORMAZIONE COME PATRIMONIO DELL'ORGANIZZAZIONE, DEI SUOI OPERATORI, DEI SUOI DIRIGENTI E DEI SUOI PROFESSIONISTI. 

Ogni organizzazione, azienda, scuola, reparto, piccola o grande che sia, qualunque sia il suo prodotto e qualunque sia il suo obiettivo, possiede una specifica dimensione pedagogica e formativa, con caratteristiche e peculiarità proprie che spesso sfugge all’attenzione dei suoi membri e a volte anche dei suoi responsabili e dirigenti.  Questa dimensione si dà comunque anche quando non è perseguita intenzionalmente, forse come surplus se non proprio come effetto alone di ogni forma di lavoro organizzato che richiede cioè il coordinamento di uomini, del lavoro di uomini con uomini e dunque del lavoro su uomini.

Solitamente, infatti, si riconosce che un certo operatore, professionista o dirigente si è formato o è stato formato in un determinato ente o azienda ma anche, viceversa che una certa azienda, ente od organizzazione porta l’impronta di un determinato manager come pure si valuta o si apprezza un operatore o un dirigente anche in base al team di provenienza e ai leaders che lo hanno guidato, oltre che dalle caratteristiche e qualità dei suoi partners e collaboratori.

Si tratta di un patrimonio costituito e sedimentato nel tempo in cui confluiscono in combinazioni variabili, competenze professionali, capacità di guida e di controllo, abilità pratiche, sapere comunicativo e relazionale, capacità di ascolto, intuito ed inventiva nella soluzione di problemi, il precipitato di esperienze lavorative personali e di gruppo, schemi mentali, tonalità affettive e di carattere, la pratica del dare e creare fiducia, la capacità di costruire alleanze di lavoro.

Le grandi organizzazioni, la grande azienda, la grande impresa hanno da tempo scoperto e riconosciuto questo patrimonio, vi attingono in modo sistematico e strutturato per operare trasformazioni, per introdurre innovazioni, per calibrare e supportare i lavori di e in team con l’effetto conseguente di svilupparlo e di incrementarlo ulteriormente.

Il patrimonio “formazione” una volta individuato, esplorato e analizzato, diventa un capitale da investire e su cui investire, da mettere a frutto e da far crescere in termini di sviluppo professionale degli operatori, di incremento della qualità e della quantità delle attività e dunque in termini di buona salute generale dell’organizzazione.

 

Apprendere dall’esperienza per sviluppare un livello avanzato di professionalità

 

La crescente domanda di formazione e di pratiche formative indotta dalle innovazioni organizzative e tecnologiche in ambito lavorativo e professionale e dalle grandi trasformazioni istituzionali, sociali e politiche dei nostri giorni, richiede un forte incremento del sapere pedagogico nell’ambito della ricerca e dell’innovazione tecnologica ed in particolare di quelle competenze comunicative e relazionali indispensabili per interventi formativi chiari, efficaci ed adeguati.

Per di più la formazione di adulti con adulti e tra adulti promuove non solo un generale diritto allo studio e all’insegnamento ma promuove e sancisce uno specifico e irrinunciabile diritto ad apprendere dall’esperienza.

Così il "saper fare" formazione diventa un requisito sempre più rilevante in tutte quelle attività e/o professioni in cui sono coinvolti a vario titolo processi di apprendimento, di socializzazione, di acculturazione tanto che si tratti dell'insegnare o dell'addestrare, quanto dell'educare o del “prendersi cura", che del governare o del gestire.

All’insegnante come allo psicologo, all’infermiere come all’assistente sociale, al medico come al manager e agli operatori nei servizi sono sempre più spesso riconosciuti e richiesti compiti formativi, di guida e di orientamento verso gli allievi, gli utenti, i pazienti, gli assistiti e i loro famigliari certo, ma anche verso i collaboratori, i tirocinanti, i colleghi più giovani, i colleghi provenienti da altri settori d’intervento e quelli appartenenti ad altre specializzazioni professionali con i quali si lavora spesso gomito a gomito, in gruppo o coordinati in équipe secondo sequenze di azioni preordinate.

Per rispondere a questi nuovi e impegnativi compiti richiesti da un livello avanzato di professionalità risulta indispensabile l'acquisizione pratica di tattiche e di strategie di ricerca e di intervento pedagogici che sappiano articolare e coniugare efficacemente “il sapere, il saper fare e il far sapere” non secondo sterili, teorici e angusti specialismi dottrinali bensì secondo la concreta e vitale esperienza di ciascuno.

L’esperienza lavorativa di cui ogni operatore è portatore è un capitale e una risorsa costituiti in anni di apprendimento sul campo di cui gli enti, le istituzioni, i servizi di appartenenza possono avvalersi per promuovere ed incrementare la crescita della professionalità degli operatori e conseguentemente per accrescere l’efficacia e la qualità dei servizi offerti.

Come non disperdere questo capitale e come renderlo utilizzabile e disponibile come risorsa per la collettività, gli enti, gli utenti, le famiglie e per gli stessi operatori è l’obiettivo precipuo di un percorso di Clinica della formazione che intende fare dell’esperienza e dell’apprendere dall’esperienza il suo principale strumento operatore.

 

Siamo d’accordo con la riflessione di Friedrich Dürrenmatt:

“L’università non dovrebbe essere il luogo dove il sapere viene tesaurizzato, bensì il luogo dove il sapere viene compreso.  Ma la comprensione del sapere ne favorisce l’ampliamento e l’ampliamento del sapere a sua vota assegna nuovi compiti alla comprensione.  D’altra parte, ogni comprensione del sapere rappresenta, per colui che comprende, un atto creativo, di modo che, pur nel massimo rispetto di tradizioni e convenzioni, la cultura, intesa come produzione artistica, al contrario dell’esegesi scientifica, non potrà mai essere un possesso (o perlomeno lo è solo in quanto mette a disposizione un sapere specifico:  come si potrebbe fare una certa cosa, ad esempio una poesia, una sonata, un quadro, un ragionamento filosofico ecc., che poi magari non si fa solo perché non si riesce a farla; un sapere dunque che io non sottovaluto ma che nemmeno sopravvaluto). Questa cultura non sarà mai un possesso ma, per la sua specificità del tutto particolare, piuttosto una presa di possesso:  non un sapere ma un rischiare, non un intervento a posteriori ma una conoscenza anteriore, un comprendere nell’atto del fare, sia che si tratti di una poesia, di una sonata, di un quadro o di un ragionamento filosofico, senza certezza di riuscita, senza conoscere prima quale sarà il risultato.  Se le cose stanno così, solo un’università che insegni a comprendere, che non si basi sul sapere ma sul metodo della comprensione del sapere sarebbe integrata nella cultura, per come la intendo (e non importa se è di tipo artistico, scientifico in senso lato o umanistico), una cultura dell’esperimento, della messa in dubbio del sapere; una cultura del senso critico, dei modelli di pensiero, delle antiideologie, delle immaginarie reti tese alla cattura del prevedibile e dell’imprevisto…”

 

L’obiettivo del Master dunque non è un aggiornamento contenutistico disciplinare di tipo tradizionale bensì l’affinamento e l’approfondimento di quelle modalità operative, comunicative, relazionali e deliberative che tanta parte hanno nella gestione efficace del ruolo e delle competenze specifiche delle professioni educative e formative; e ciò nella convinzione che una migliore rappresentazione e una più adeguata definizione del proprio ruolo professionale si consegue innanzitutto con una esplorazione clinica che favorisce l’individuazione e il riconoscimento e l’analisi di quei nodi, di quei problemi, di quegli ostacoli pratici operativi che più di frequente incontra chi a vario titolo è coinvolto in processi formativi, nella gestione di procedure, di strategie operative, comunicative e modalità relazionali nell’ambito dell’educazione, dell’assistenza e della cura.

Non va dimenticato, infatti, che le organizzazioni in genere e in specifico le istituzioni scolastiche e formative, aziende sanitarie, reparti ospedalieri, enti erogatori di servizi, si definiscono nella percezione e nell’esperienza dei loro utenti e dei loro operatori e professionisti come i luoghi naturali di una prorompente domanda di sapere a volte urgente, apprensiva, sofferente rispetto cui risulta importante e non privo di responsabilità non solo il far sapere ma anche il modo in cui si fa sapere.

Non si tratta solo di apprendere e di far apprendere dall’esperienza, ma anche di apprendere e di far apprendere dal linguaggio con il quale ci si riferisce ad essa, con il quale la si presenta e la si rappresenta alla propria come alla altrui comprensione.  Ci sono parole che contengono una storia intera, un mito, una favola, in forma nascosta o rimossa o censurata o più semplicemente, dimenticata.  Nella storia delle parole sono contenuti molti segreti concernenti il mestiere di formatore e di educatore e non è sufficiente solo impossessarsi delle modalità del loro impiego ma è necessario anche e soprattutto conoscere il perché del loro uso e dei significati diversi che esse possono assumere nello scambio comunicativo tra chi parla e chi ascolta. Si tratta della possibilità di poter scoprire le origini dei concetti e dei significati della esperienza professionale e personale nell’origine delle parole e che utilizziamo per comunicarle e rendicontarle.  Così parola vale parabola (spagnolo palabra) cioè allegoria, metafora, simbolo; motto vale mito e favola vale favella.  Forse non si impara a pensare senza le favole.

Per di più la radice med-(medeor in latino, médo in greco) imparenta la medicina e la meditazione e l’una e l’altra con la misura (metior) e questa (mensura) rimanda a mens. Un’altra parentela ben più inquietante e perciò stesso più intrigante è quella che unisce medicina con Medusa, letteralmente “colei che pensa a”, “che si cura di”. La Medusa era una delle tre Gorgoni, quella mortale, considerata la Gorgone (= la tremenda) per eccellenza.

Siamo dunque ammoniti: lo sguardo che cura può essere anche uno sguardo che pietrifica, l’ascolto che accoglie può essere anche un ascolto che inibisce, il discorso che guida e mette ordine può essere anche un discorso che schiaccia e ferisce: il gesto terapeutico può anche risultare mortale!

Imparare a riconoscere e ad esplorare le esperienze operative, le strategie comunicative e le modalità relazionali professionali e personali, individuali e di gruppo, di cui si è portatori, significa conseguire un apprendimento focalizzato sugli schemi, sulle dinamiche, le procedure, le tattiche che si mettono in campo quando si comunica e ci si relaziona con se stessi e con gli altri.

Alla domanda: come devo comunicare e relazionarmi con i miei allievi, colleghi, utenti?  La Clinica della formazione risponde inaugurando un movimento che inverte il senso della domanda interrogando direttamente la concreta esperienza: e tu, come comunichi e ti relazioni nella tua pratica professionale?  Ad un astratto potere risolutivo della teoria il procedere clinico preferisce innanzitutto rivolgere lo sguardo alla prassi ribaltando il nesso teoria-prassi chiamando in causa ed interrogando direttamente l’esperienza personale e professionale, i suoi successi e i suoi insuccessi, la sua evoluzione o le sue involuzioni probabili, il suo scorrere senza intoppi o i suoi relativi gradi di infelicità.

É possibile parlare e narrare di educazione, di formazione indipendentemente dalle forme linguistiche e narrative attraverso cui si esprimono?  E ancora, è possibile parlare di educazione e di formazione indipendentemente dai modi in cui si è stati educati e formati, che fungono come indici di riferimento interni a chi ne parla?  E infine, quanto incide sul nostro modo di fare formazione e educazione il modo in cui siamo stati formati e educati?

 Questo apprendere di sé da sé, questo apprendere dall’esperienza segnala e prepara quelle modificazioni, quelle ricalibrature, quegli accorgimenti necessari per il miglioramento delle proprie modalità operative e per l’incremento dell’adeguatezza relazionale e dell’efficacia comunicativa.  Solo così radicandoli nell’esperienza è possibile sostenere e migliorare capacità operative già acquisite e promuovere lo sviluppo di nuove competenze professionali.

Un percorso di Clinica della formazione consentirà attraverso l’orchestrazione di attività espressive, narrative, grafiche, l’oggettivazione e l’elaborazione individuale e di e in gruppo, delle esperienze operative e delle modalità comunicative e relazionali di cui ogni partecipante è portatore.

 


 

Obiettivi di un percorso di Clinica della formazione: recupero e tesaurizzazione dell’esperienza di apprendimento e reinvestimento in competenze operative, comunicative, relazionali e formative.

 

  1. Promuovere capacità di individuazione e di valutazione autonoma delle risorse disponibili nel territorio, nelle istituzioni e nei servizi per una costruzione personale di percorsi di formazione continua.

  2. Approfondire, definire e promuovere strategie e dispositivi di ricerca e di intervento che attraverso momenti di tutoring, di supervisioni individuali e di gruppo rendano possibile rafforzare capacità autoriflessive e di elaborazione delle proprie motivazioni professionali e dei propri bisogni formativi.

  3. Esplorare, comunicare e riflettere sulle esperienze proprie e di altri relativamente alla formazione personale e all’attività professionale, in modo da passare dalle esperienze agite alla loro comprensione e da ciò alla trasformazione delle proprie modalità d’intervento, soprattutto relazionali e comunicative (apprendere dall’esperienza).

  4. Acquisire, attraverso questa esperienza di esplorazione e di rielaborazione della propria vicenda personale e professionale di apprendimento e di formazione, la competenza pedagogica a formare altri operatori più giovani o in corso di formazione.

  5. Conseguire, grazie agli apprendimenti raggiunti, una più alta qualificazione professionale e un migliore orientamento o ri-orientamento delle proprie capacità e competenze lavorative nei ruoli e negli ambiti dell’esperienza professionale.

 

Le principali competenze cliniche che si intendono sviluppare come livello avanzato di professionalità educativa e formativa a partire da concrete abilità di base vanno:

 

·        dalla capacità di animare e condurre gruppi di apprendimento a competenze di comprensione e restituzione delle dinamiche educative, comunicative e relazionali;

·        dalla capacità di ascoltare, narrare e ricostruire vicende personali e professionali a competenze di individuazione ed elaborazione dei propri modelli mentali e dei propri impliciti epistemologici;

·        dalla capacità di instaurare relazioni significative a competenze di rielaborazione affettiva e cognitiva dei processi formativi;

·        dalla capacità di progettare interventi e di negoziare decisioni a competenze di valutazione qualitativa dei sistemi di azione;

·        dalla capacità di organizzare situazioni operative a competenze per il riconoscimento e la decostruzione dei dispositivi pedagogici latenti.

 


 

Metodologia: Clinica della Formazione

 

La Clinica della formazione costituisce un’importante innovazione metodologica sia sul piano delle tecniche didattiche che sul piano dei setting formativi, utilizza e incrementa la dimensione emotiva, comunicativa e relazionale dei partecipanti e li impegna in un lavoro di ricerca e di apprendimento individuale e di e in gruppo.

É grazie agli studi e alle ricerche di Riccardo Massa e Angelo M. Franza e alle comuni sperimentazioni condotte nell’arco di circa dieci anni a cominciare dall’ambito professionale dell’Associazione Italiana Formatori (1992) e del Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale (1993) per continuare con l’Istituto Mario Negri di Milano (1994), le Facoltà di Medicina di Ferrara e Pavia (1995), la Facoltà di Psicologia di Bologna (1996), I.R.R.S.A.E. – Emilia-Romagna (1997), I.R.R.S.A.E. – Lombardia (1998), ISREBO – Bologna (2000), Ospedale S. Anna di Torino D.U. (1998), Ospedale Maggiore – AUSL Città di Bologna (2000), Università di Verona - Scuola Superiore di Formazione Sanitaria di Trento (2001), Collegio IPASVI – Bologna (2002-2003), sino alle recenti edizioni del Master interuniversitario Milano-Bologna in “Sviluppo delle competenze cliniche nelle professioni educative e formative”, a.a. 1998-2000, 1999-2001, 2002-2003 che l’espressione Clinica della formazione è entrata a pieno titolo nel lessico pedagogico contemporaneo.

 

Per Clinica della formazione si intende:

 

a)      la progettazione e la conduzione della ricerca circa gli elementi costitutivi, i processi e i dispositivi della formazione d’individui e di gruppi d’individui secondo l'organizzazione e le modalità conoscitive proprie del metodo clinico: il rapporto interpersonale fondato su un condiviso impegno alla verità, che coinvolge l'osservatore nella relazione osservativa, uno sguardo e un ascolto in cui l'attenzione interrogante dell’osservatore verso l’osservato é aperta tanto alla propria quanto all'altrui esperienza.

b)      la progettazione e la conduzione d’interventi nell'ambito della formazione dei formatori per l'orientamento, la consulenza e la supervisione formativa di operatori nelle professioni educative e formative. L’obiettivo è lo svelamento e il riconoscimento, la valutazione e l'ottimizzazione delle tattiche e delle strategie proprie dell'agire pedagogico di ogni singolo operatore e in ordine specificatamente a competenze comunicative, relazionali e d’insegnamento-apprendimento.

 

In entrambe le specificazioni, la Clinica della formazione opera con modalità d’esplorazione e di sperimentazione individuali e di e in gruppo e insiste su un conoscere e un apprendere dall'esperienza e attraverso l'esperienza.

Le premesse empiriche da cui muove l’approccio clinico alla formazione poggiano sulla correlazione tra due osservazioni generali:

a)      non sempre gli orditi e i costrutti pedagogici sono immediatamente visibili e riconoscibili, a volte confusi con gli effetti formativi non intenzionali dei processi del mondo della vita e a volte inavvertiti perché celati ed operanti al di sotto della consapevolezza di chi li attraversa, li gestisce o li subisce, formatore o formando che sia.

b)      la struttura profonda dei gesti e degli orditi pedagogici non è una struttura di cui il formando o il formatore, nel costituire, nel rappresentare e nel dire la propria esperienza di formazione, sono necessariamente coscienti, ma è una struttura che determina il modo in cui essi la rappresentano, la costituiscono, la simbolizzano.

 

Il dispositivo

 

Sia sul versante della ricerca che su quello pratico-operativo la Clinica della formazione si presenta come un percorso che, in assetto di piccolo gruppo e sulla base delle indicazioni, dei mandati, delle procedure proposti e amministrati da uno o più conduttori accompagna i partecipanti nell’esplorazione ed elaborazione di concrete vicende formative presentate sotto forma di resoconti e narrazioni allo scopo di estrarne elementi salienti di vicende professionali, le relative dinamiche formative, i significati e le strutture simboliche ricorrenti della formazione e permette:

·        di produrre rappresentazioni circa la formazione;

·        di collocarle nei contesti e nei costrutti personali, collettivi, professionali e istituzionali di riferimento;

·        di riappropriarsene analizzandole e ricostruendone il senso complessivo attraverso l'interpretazione.

 

Assunto di base della Clinica della formazione è che gli eventi e i processi formativi non sono esterni, indipendenti da chi li studia, li agisce e dal modo in cui ne parla, bensì connessi ed interpolati con la rappresentazione che si ha della propria oltre che dell'altrui formazione.

Il modo in cui un individuo ritiene di essere stato formato e cioè l'insieme degli eventi, delle fasi e tappe significative che egli seleziona e la relativa attribuzione di rilevanza, costituisce un indice di riferimento interno alla rappresentazione cui egli perviene del processo formativo del quale è stato soggetto e oggetto al contempo.

In un percorso di Clinica della formazione queste rappresentazioni individuali e i relativi vissuti sono raccolti attraverso la produzione di resoconti e narrazioni, esposti all'analisi e all’elaborazione di gruppo e successivamente l'“autore” con l'apporto del gruppo e sotto la guida del conduttore è impegnato a rintracciare, riconoscere e valutare la verità pedagogica dichiarata o implicita, manifesta o latente inscritta nella sua esperienza di formazione.  Questa verità pedagogica si palesa all'autocomprensione dell'“autore” nelle connessioni e nelle correlazioni che si danno tra un certo modo di fare formazione, educazione o insegnamento e il modo in cui si è stati formandi, educandi, soggetti d’apprendimento e costituisce il nucleo generativo delle mappe cognitive e affettive con cui egli guarda, narra, vive e in definitiva esercita l'educazione, la formazione, l'insegnamento-apprendimento.

Nel dispositivo di Clinica della formazione gli elaborati individuali e di gruppo cui l'attività d’osservazione e d’auto-osservazione conduce sono trattati come testi da interpretare in quanto prodotti di un’intenzione comunicativa.

Il bersaglio dell'interpretazione non è il comportamento narrato o il suo “autore”, bensì l'interpretazione che l'“autore” dà di quello e via via le interpretazioni che di quell’interpretazione danno i partecipanti al gruppo. Il materiale clinico raccolto e le interpretazioni degli “autori” non sono utilizzati per capire la psicologia degli “autori” o per ricostruire il loro mondo interno, bensì per comprendere le verità pedagogiche circa la formazione di cui gli “autori” sono portatori più o meno consapevoli e da quali significati queste sono intenzionalmente, e non, connotate.

Il dispositivo conclude nella posa in asse dei materiali prodotti seguendo il gioco dei rimandi interni, connessioni, congruenze o discrepanze e perviene ad un profilo individuale e di gruppo delle rappresentazioni professionali, delle procedure cognitive ed affettive di elaborazione del processo formativo e delle relative connotazioni simboliche e d’immaginario pedagogico.

(A.M. Franza voce Clinica della formazione - Enciclopedia pedagogica-aggiornamento 2000, La Scuola, Brescia, 2002)

 

 

Lo scopo ultimo di una Clinica della formazione è quello di pervenire attraverso una rielaborazione della esperienza di formazione alla costituzione di una semeiotica della formazione non data e costruita indipendentemente da essa ma ricavata direttamente da essa e da chi l’agisce nelle pratiche e nelle procedure che la istituiscono.

In quanto setting formativo questo dispositivo punta a favorire un giudizio clinico circa le tecniche didattiche, le strategie relazionali, le modalità affettive chiamate in causa o prospettate nell'analisi di concrete esperienze di formazione in ordine al grado di congruenza reciproca e al relativo grado di efficacia formativa.

L'elaborazione individuale e di gruppo dell'esperienza di formazione, consentirà quanto meno ai partecipanti al setting di Clinica della formazione di prendere coscienza del come e perché di certi comportamenti, rappresentazioni, vissuti relativi al lavoro di formazione in relazione alla propria ed alla altrui esperienza di formatore e/o di formando. In tal modo, fondando sulla maggiore consapevolezza prodotta dalla ricerca clinica, crediamo sia possibile innescare e promuovere quelle modificazioni, ristrutturazioni, riconfigurazioni del fare formazione che il giudizio clinico indicherà come più adeguate e perciò stesso più efficaci; e ciò all'interno degli specifici settori di attività professionale che si intende esplorare.

 

Angelo M. Franza

Direttore scientifico, progettista, staff group conductor

e supervisore del Master

 

 

 
 
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