Raffaello si racconta

 

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A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista –  19) Raffaello e Dante

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Quelli c’anticamente poetaro
L’età dell’oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro
Qui fu innocente l’umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice.

(Dante Alighieri, Divina Commedia,
Purgatorio, XXVIII, 139-144)

 

 

Il volto di Dante mi venne incontro per la prima volta mentre bambino seguivo mio padre Giovanni nelle sale del Palazzo Ducale della mia Urbino. Era là, tra i ritratti degli uomini illustri usciti pochi anni prima dal pennello del fiammingo Giusto di Gand con l’aiuto dello spagnolo Pedro Berruguete per lo Studiolo di Federico di Montefeltro. D'altronde Federico aveva commissionato per la sua biblioteca uno splendido manoscritto della Divina Commedia.

E mio padre, che già veniva definito un secondo Dante perché ne recitava in pubblico i versi, certo si sentì un po’ un novello Alighieri scegliendo per comporre la sua “Cronaca rimata” in occasione delle nozze del nuovo duca Guidubaldo la forma del poema in terza rima. Non solo, anch’egli si smarrisce in una selva.

L’avrei onorato anch’io più avanti Guidubaldo, ritraendo sia lui che la sua sposa, la colta e intelligente Elisabetta Gonzaga.

Si dice siano di mio padre gli affreschi per la chiesetta della Beata Vergine della Misericordia, o più precisamente l’Oratorio dell’Ospitale, di Montefiore Conca presso Rimini, che rappresentano Inferno, Purgatorio e Paradiso. Per quel ciclo, di cui ben poco sopravvive, Giovanni avrebbe tratto direttamente ispirazione dalla Commedia dantesca.

Io stesso ho voluto raffigurare per due volte il sommo Dante nella Stanza della Segnatura che affrescai per papa Giulio II: nella Disputa del Sacramento assieme a teologi e Padri della Chiesa, quasi un sommo testimone di ciò che avviene, e nel Parnaso tra i poeti, sul piano del dio della poesia, Apollo. La Teologia raffigurata nella volta veste il bianco, verde e rosso delle virtù teologali, ma che sono gli stessi colori di cui Dante riveste Beatrice che gli si fa appresso nel Purgatorio.

Si dice che nell’ideare la raffigurazione del Parnaso io abbia avuto in mente gli spiriti magni relegati nel Limbo che l’Alighieri incontra nel quarto canto dell’Inferno. Tra di essi c’è Omero, che io ho posto tra lui e Virgilio. Ancora tra cotanto senno.

Per quest’affresco rimane anche un mio dettagliato disegno preparatorio per il volto del poeta, oggi alla Royal Library nel castello di Windsor. Negli anni passati a Firenze non erano mancate le occasioni per familiarizzare con le sue fattezze, che anche Boccaccio descrisse nel suo Trattatello in laude di Dante.

A lui, a cui mi onoro di stare accanto tra le figure illustri della cultura italiana, cedo ora il passo mentre si avvicina la data del suo settimo centenario.

Raffaello opere 19

Giusto di Gand, Ritratto di Dante Alighieri 1472-1476, Parigi, Musée du Louvre, part.
Raffaello Sanzio, Stanza della Segnatura,  Disputa del Sacramento 1508-1509, Città del Vaticano, Musei Vaticani, dettaglio del volto di Dante
Raffaello Sanzio, Stanza della Segnatura, Parnaso 1510-1511, Città del Vaticano, Musei Vaticani, dettaglio con Dante

Bibliografia, mostre, filmati

  • Mirco Manuguerra, “Dante, Raffaello e la modernità” in ATRIUM Studi metafisici ed umanistici, Anno XIV numero 3, 2012
  • Chiaretti Angelo, Il Dante di Montefiore Conca, Centro Dantesco dell'Associazione Pro San Leo (PS), 1995 (versione digitalizzata disponibile su http://www.liberliber.it/ nell’ambito del progetto Manuzio)
  • Giorgio Barberi Squarotti, Corrado Gizzi, Agazzi ldo, Raffaello e Dante, Edizioni Charta, 1992 (catalogo della mostra, Torre de' Passeri, 26 settembre-30 novembre 1992)

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 18) Raffaello e il Tirolo

 

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„Unser liebe fraw, mit dem nackhend steend Christkindl, und vor im St. Johannes kiend, beede das creuz haltend, in einer vergulten ramb, auf holz gemahlen, original von Raphael d‘Urbino“

(“Nostra Signora, con il Bambinello nudo, e davanti a lui S. Giovanni inginocchiato che tengono la croce, in una cornice dorata, dipinti su tavola, originale di Raffaello da Urbino” dall’inventario dei dipinti del castello di Ambras del 1663)

 

 

 

Anche se mai ebbi occasione di recarmi nelle vostre terre, un legame, per quanto tenue, riesco tuttavia a intravederlo.

La Madonna del Prato, che avevo dipinto nei miei anni fiorentini per il patrizio e mecenate Taddeo Taddei venne venduta nel 1662 dagli eredi di questi al vostro principe, l’arciduca Ferdinand Karl, il “Re Sole del Tirolo”, che alla fine di quello stesso anno sarebbe morto a Caldaro. Nell’anno successivo il quadro risultava custodito al castello di Ambras, per entrare poi, giusto un secolo più tardi, a far parte delle raccolte del Belvedere di Vienna, da cui l’altro nome con cui la mia opera è conosciuta, e passare infine al Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Del resto la madre di Ferdinand Karl, l’arciduchessa Claudia, che per nascita apparteneva ai de’ Medici, in prime nozze era andata sposa all’ultimo duca della mia Urbino, rimanendo ben presto vedova. La figlia nata da quell’unione, Vittoria della Rovere, sposando il cugino, il granduca Ferdinando II de’ Medici, aveva portato a Firenze alcune mie opere, come parte della sua eredità. Forse Ferdinand Karl ebbe occasione di vederle quando nel 1652 visitò la sorellastra, assieme al fratello e alla moglie Anna de’ Medici, che era al contempo due volte sua cugina.

Un’altra delle mie Madonne, la celeberrima Sistina, attraversò le vostre terre a metà del Settecento, proveniente dalla chiesa di San Sisto a Piacenza e diretta a Dresda alla corte del principe elettore di Sassonia Federico Augusto II, che fu anche re di Polonia come Augusto III. Un viaggio di per sé alquanto lungo e avventuroso, per di più nel basso Trentino una pioggia battente mise a rischio la preziosa pala, infradiciando la cassa che la conteneva e la paglia che la doveva proteggere.

E tra gli artisti attivi nell’allora Tirolo meridionale nel Settecento e nell’Ottocento, molti trascorsero lunghi periodi a Roma, dove non mancarono di venire a contatto con i miei affreschi e i miei dipinti, fosse anche solo attraverso le incisioni. Fui una fonte di ispirazione e anche se seguirono correnti e modi artistici diversi, quel contatto lasciò delle tracce.

Ne parla il taccuino, oggi al museo Diocesano di Bressanone, in cui Josef Schöpf verso il 1783, al termine del suo soggiorno romano, ricopiò sezioni e particolari degli affreschi delle Stanze Vaticane, quelle della Segnatura, di Eliodoro e pure quella di Costantino, dove fu attivo il mio allievo più brillante, Giulio Romano.

Ne parla l’Andata al Calvario dipinta entro il 1892 dal padre francescano Caius D’Andrea nella cappella del Ginnasio gestito dal suo Ordine, che nella parte centrale si rifà evidentemente al mio Spasimo di Sicilia.

 

Raffaello opere 18

 

Raffaello Sanzio, Madonna del prato (o del Belvedere), Vienna, Kunsthistorisches Museum, part.
Joseph Schöpf, Diogene e quattro studi di teste (
disegni ripresi rispettivamente da La Scuola di Atene e da Gregorio IX approva le decretali nella Stanza della Segnatura) Bressanone, Museo Diocesano
Caius D’Andrea, Andata al Calvario, Bolzano, Franziskanergymnasium, Caius-D’Andrea-Saal, part.

Bibliografia

  • Marco Carminati, Raffaello pugnalato, Il Sole 24 Ore, 2019 (capitolo “Le avventure della Madonna Sistina” pp. 51-70)
  • Thomas Kuster, Veronika Sandbichler, “ERZ FÜST.ETC.RAISS NACHER WELSCH LANDT [...] DE ANNO 1652. Das Reisetagebuch Erzherzog Ferdinand Karls” in Wissenschaftliches Jahrbuch der Tiroler Landesmuseen , Tiroler Landesmuseen-Betriebsgesellschaft , Innsbruck, 3.2010, pp. 194-385
  • Ferdinand Karl. Ein Sonnenkönig in Tirol, a cura di Sabine Haag, Kunsthistorisches Museum Wien, 2009 (catalogo della mostra, Innsbruck, 25 giugno - 1 novembre 2009)
  • Francesco Bertoncello, Joseph Schöpf e le sue opere in Alto Adige, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige, 1993
  • D. Neri, Un pittore atesino della fine dell'800il pCD., in Archivio per l'Alto Adige, XXXVI (1941), 2, pp. 379-403
  • V. Gredler, PCajus DOrdminals Maler, in Zeitschrift des Ferdinandeums für Tirol und Vorarlberg, s. 3, LI (1907), pp. 341-46

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 17) Raffaello nella cultura russa

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Mio marito attraversò tutte le sale senza sostare,
conducendomi direttamente davanti alla Madonna Sistina.
Considerava questo dipinto il massimo capolavoro
creato dal genio umano.
Lo vidi in seguito fermarsi per ore davanti a
quella visione di bellezza senza uguali, che ammirava con tenerezza e trasporto.

(Anna Dostoevskaja, Ricordi)

 

 

 

Guardando  a quanto lontano è volata la mia fama, rivolgo ora lo sguardo verso la Russia. La leggenda vuole che un mio quadro fosse stato donato a Pietro il Grande, in realtà l’autore era Benvenuto Tisi, il Garofalo, che al Centro Trevi di Bolzano è stato ospite.

Ancor oggi al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo si conservano due mie opere,  La Sacra Famiglia con San Giuseppe imberbe, tra gli acquisti di Caterina II e  la Madonna Connestabile, che vi giunse ai tempi di Alessandro II, oltre a dipinti della mia cerchia. La prima ispirò una poesia, “Rinascita”,  di un grande scrittore che molto mi amava fin dalla giovinezza e a cui ispirai anche altri versi, Aleksander Puškin, di cui si disse che mi era affine per natura, per nobiltà, grazia e capacità di cogliere ed esprimere senza apparente sforzo  l’armonia e la perfezione, nel suo campo come io nel mio; la sorte volle che anche per lui la fine giungesse ad appena 37 anni.

A dire il vero delle collezioni dell’Ermitage fecero a lungo parte anche un San Giorgio e il drago, comprato anch’esso da Caterina II e la Madonna d’Alba, acquistata dallo zar Nicola I: messi in vendita negli anni Trenta, arrivarono poi alla National Gallery di Washington dove si trovano tutt’ora.

Anche la mia Madonna Sistina fu per un decennio in Russia, a Mosca, dove giunse in treno, ammiratissima preda di guerra. Ma ben da prima divenne la prediletta di studiosi e di letterati, un rapporto speciale sintetizzato in una lettera di Vasilij Žukovskij “non un quadro, ma una visione”. Dostoevskij non mancava mai di andarla ad ammirare quando si trovava a Dresda. Non solo, ne parla nei suoi romanzi, in particolare nei Demoni. Una riproduzione era appesa nel suo studio, sopra il divano su cui si spense.  Ma Dostoevskij aveva visto e apprezzato anche miei altri quadri, come la Madonna della Seggiola, in fondo una sua vicina di casa, quando tra il 1868 e il 1869 abitava in Piazza Pitti, intento a terminare L’Idiota.

Ivan Turgenev in Terra vergine, descrivendo il volto di Valentina, dice che “ricordava le sembianze della Madonna Sistina, con sorprendenti occhi profondi, vellutati”. Tolstoj, che pure ne aveva una copia nella sua tenuta di Jasnaja Poljana, a differenza dei colleghi, non ne fu  conquistato.

La Madonna Sistina ha ispirato anche un dolente racconto di Vassilij Grossman La Madonna Sistina (Sistinskaja Madonna nell’originale), conosciuto anche come La Madonna a Treblinka. Era anche lui in fila a Mosca nel 1955 tra il  milione e mezzo di persone  che andarono a congedarsi dal mio dipinto nei novanta giorni che durò la mostra di addio, prima che tornasse alla Gemäldegalerie di  Dresda.  Ma in lui gli sguardi di Maria e del Bambino evocano un angoscioso parallelo con le madri internate a Treblinka.

Nikolaj Gogol’, che a Roma soggiornò  a lungo, conosceva i miei affreschi e mi apprezzò anche come architetto: “Questo italiano è così dotato che tutto gli riesce”.

Quanto ai pittori, la loro considerazione nei miei confronti conobbe alti e bassi a seconda della loro formazione e del periodo storico.

Ma torniamo infine a Caterina la Grande: non si accontentò dei miei quadri. Attraverso le incisioni di Giovanni Volpato e Giovanni Ottaviani conobbe le mie Logge e ne volle una replica per il suo Ermitage. Nel 1792 l’architetto Quarenghi la portò a compimento nelle stesse misure dell’originale, anche se non identica nei dipinti. Gli encausti con i disegni delle grottesche furono eseguiti a Roma a Cristoforo Unterperger, nativo di Cavalese, che con la sua bottega vi lavorò per una decina d’anni, realizzando pure le analoghe decorazioni destinate alla Sala degli arabeschi del palazzo pietroburghese del principe Stroganov. Unterperger è anche l’autore della Trasfigurazione posta in una cappella laterale del Duomo di Bressanone, anche se ben diversa dalla mia.

Raffaello opere 17

  

Raffaello Sanzio, Madonna Connestabile 1504 ca, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage, part.
Raffaello Sanzio, Madonna d’Alba 1511 ca, National Gallery, Washington
Logge di Raffaello, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage

 

Bibliografia

  • Bianca Gaviglio, Raffaello, la Madonna Sistina e i russi, Lindau 2020
  • Viktoria Markova, “Raffaello nella cultura russa” in Raffaello la poesia del volto. Opere dalle Gallerie degli Uffizi e da altre collezioni italiane, a cura di Eadem, V. Markova, con la direzione scientifica di E. D. Schmidt, catalogo della mostra (Mosca, Museo A. S. Puškin), Mosca 2016
  • Antonio Paolucci, “Raffaello Sanzio a San Pietroburgo per ordine della zarina” in L'Osservatore Romano, 18-19 maggio 2009
  • Vassilij Grossman, La Madonna a Treblinka, Medusa Edizioni, 2007
  • Rizzo, “Tutto in uno sguardo. Dostoevskij, Grossman e la Sistina di Raffaello” in www.ilsussidiario.net

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 16) La bottega di Raffaello

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…e quanto allo stucco et alle grotesche fece capo di quella
opera Giovanni da Udine; e sopra le figure Giulio Romano,
ancora che poco vi lavorasse, così Giovan Francesco,
il Bologna, Perino del Vaga, Pellegrino da Modona,
Vincenzio da San Gimignano e Polidoro da Caravaggio,
con molti altri pittori che feciono storie e figure et altrecose
che accadevano per tutto quel lavoro...

(Giorgio Vasari - Le vite de' più eccellenti architetti, pittori,
et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - 1568)

 

 

A differenza di Michelangelo e Leonardo, non fui un genio solitario: seppi infatti circondarmi di validi aiuti. Al mio arrivo a Roma, con il progressivo moltiplicarsi degli incarichi, intuii che l’unico modo di farvi fronte era creare una bottega che sotto la mia attenta guida potesse portarli a termine tutti. Un imprenditore ante litteram. Non ero il primo, ma più di ogni altro seppi enfatizzare il processo di creazione di mia competenza, demandando ai miei discepoli parte della realizzazione, a cui comunque sempre sovrintesi. Un sistema che funzionò alla perfezione, perfino alla mia morte, quando furono loro a portare a compimento quanto era rimasto aperto, come l’ultima delle Stanze vaticane, quella di Costantino.

Toccò allora soprattutto a Giulio Pippi, o meglio Giulio Romano, il più talentuoso tra i miei collaboratori, trasferire sulle pareti i miei disegni, con uno stile assieme vicino e al tempo stesso ben distante dal mio, che si coprirà poi di gloria a Mantova presso i Gonzaga. Se io animavo le figure dall’interno, Giulio le assoggettava alle passioni esteriori. Lui e Giovan Francesco Penni, un fiorentino che venne da me ancora giovinetto, furono i miei allievi più stretti, quelli che designai miei eredi mentre la vita mi sfuggiva. In qualcuna delle mie tarde opere i nostri interventi si fondono, tanto che le attribuzioni oscillano, come nella Visitazione conservata oggi a Madrid o l’Andata al Calvario anch’essa colà custodita. Penni mi supportò anche nell’approntare i cartoni per gli arazzi di Papa Leone X e per lui disegnò più tardi una serie della Passione di Cristo. Ai cartoni lavorò anche Tommaso Vincidor da Bologna, che nell’autunno del 1520 si trasferì nelle Fiandre. certo per sovraintendere per conto del papa al completamento della serie degli Atti degli apostoli e alla tessitura di nuovi arazzi. Ad Anversa incontrò Albrecht Dürer e lo ritrasse. In quell’occasione non mancarono di parlare di me.

Non solo ragazzi di bottega, tra loro ci furono anche artisti di vaglia, che seppero trovare una propria strada personale. Di ognuno seppi cogliere e mettere in luce le personali abilità, come con Giovanni da Udine, il mio aiuto più maturo, specializzato nelle grottesche di cui diede buona prova nelle Logge Vaticane ma straordinario nella resa dei vegetali, come nella Loggia di Psiche nella villa del mio amico Agostini Chigi (oggi la Farnesina), dove ne raffigurò con cura e attenzione centinaia, non disdegnando le specie esotiche che allora erano una novità.  Abilissimo anche nel riprodurre le fattezze degli animali, quasi un naturalista. La sua prima prova tramandata fu quella del cartone per l’arazzo della Pesca miracolosa, quegli uccelli acquatici che scrutano il miracolo dalla riva, i pesci che affollano le barche. Alla mia scomparsa Giovanni lavorò con Giulio a villa Madama, ma non fu facile il loro rapporto senza di me.

E ancora il fantasioso Perin del Vaga, un altro fiorentino, entrato in bottega allorché tutti quanti si poneva mano alle Logge Vaticane e divenuto sotto il mio influsso un eccellente disegnatore, il lombardo Polidoro da Caravaggio che pure affiancò i miei allievi nella decorazione delle Logge, Raffaellino dal Colle, tra i miei ultimi allievi, che avrebbe poi affiancato Giulio Romano nella Sala di Costantino seguendolo poi a Mantova.  Anche Vincenzo Tamagni di San Giminiano e Pellegrino Aretusi da Modena collaborarono con il mio valente gruppo impegnato nelle Logge vaticane.

E poi qualche giovane artista, francese o spagnolo, di passaggio a Roma transitò per la mia bottega e da questi contatti trasse ispirazioni che riportò con sé in patria.

Raffaello opere 16

Giulio Romano e Giovan Francesco Penni (su disegno di Raffaello), La Visitazione 1517,  Madrid, Museo del Prado
Giovanni da Udine, Festoni vegetali della Loggia di Psiche 1517-1518, Roma, Vila Farnesina (part.)
Giulio Romano (su disegno di Raffaello), Sala di Costantino, Battaglia di Ponte Milvio 1520-24, Città del Vaticano, Musei Vaticani, part.

 

Bibliografia, mostre, filmati

  • Tom Henry, Paul Joannides,  “Rafael y su taller entre 1513 y 1525: "per la mano di maestro Rafaello e Joanne Francesco e Giulio sui discepoli" in El último Rafael (a cura di Tom Henry e Paul Joannides), Madrid 2012 (catalogo della mostra tenutasi a Madrid, Muso Nacional  del Prado dal 12 giugno al 16 settembre 2012 e quindi a Parigi al Musée du Louvre dall’8 ottobre 2012 al 14 gennaio 2013
  • Francesco Filippini, “Tommaso Vincidor da Bologna, scolaro di Raffaello e amico del Dürer”, ristampa 1929
  • Mostra: “Giovanni da Udine, tra Raffaello e Michelangelo”, Udine, Castello, dal 12 dicembre 2020 al 14 marzo 2021
  • Scuderie del Quirinale: Raffaello e Giulio Romano - Achim Gnann https://www.youtube.com/watch?v=4VirPYzZYz0 durata 8’31”

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 15) Le Stanze vaticane e le logge

Raffaello 2020

 

Adornò ancora questa opera di una prospettiva e di molte figure
finite con tanto delicata e dolce maniera che fu cagione che papa
Giulio facesse buttare atterra tutte le storie degli altri maestri e
vecchi e moderni, e che Raffaello solo avesse il vanto di tutte
le fatiche che in tali opere fussero state fatte sino a quell’ora.

(Giorgio Vasari - Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - 1568)

 

 

 

Un papa come Giulio II non poteva certo accettare di starsene in ambienti che tanto ricordavano il suo discusso predecessore, Alessandro VI, il Borgia. E così non solo spostò i suoi appartamenti, ma volle anche che a decorarli fosse il meglio degli artisti del tempo.

Ma quando a Roma arrivai io e Giulio vide quello che andavo facendo, quella Scuola di Atene che è tra le mie opere più celebri, non volle che più nessun altro vi lavorasse, mi chiese addirittura di rifare parti su cui erano già intervenuti miei illustri colleghi. Talvolta fui io a richiedere che delle scene preesistenti fossero conservate, per rispetto e omaggio a chi mi fu maestro, come Pietro Perugino. E dove possibile cercai collaborazioni con loro.

Sarebbero diventate quattro le stanze che portano il segno delle mie invenzioni: alla prima, la biblioteca papale, più tardi detta della Segnatura, in cui si intrecciano sapere teologico, filosofico e scientifico, seguì quella di Eliodoro, la sala delle udienze con le sue scene che parlano di intervento divino a supportare l’azione della Chiesa, come nella Liberazione di San Pietro, miracolo di luce e buio. La portai a compimento quando papa Giulio era ormai morto.   Gli era succeduto, anche come mio illustre committente, Leone X, il cui volto sostituì quello del predecessore nell’affresco in cui Leone Magno ferma Attila. E poi la Stanza dell’Incendio di Borgo, con quelle figure potenti, drammaticamente dinamiche e infine quella di Costantino, la più grande, con le imprese dell’imperatore romano, figura significativa nella storia della Chiesa.

Nel tempo sarà sempre più ampia la parte esecutiva affidata alla mia straordinaria bottega, ma dietro ci sarebbe stata sempre la mia visione compositiva; i disegni preparatori erano i miei. E comunque anche nei momenti di più intenso impegno per seguire i tanti incarichi affidatimi, volli lasciare il mio segno pittorico, anche per sperimentare tecniche inusuali, come la pittura a olio sul muro. Dopo secoli ancora voi ritrovate traccia della mia mano, di cui pur il Vasari vi avvertì, come le allegorie della Giustizia e dell’Amicizia, nell’ultima di quelle che non per nulla chiamate le Stanze di Raffaello, là dove la mia arte raggiunse la sua espressione più alta, toccando ogni registro.

Per i palazzi vaticani ideai anche la decorazione per le Logge progettate dal Bramante che poi furono i miei valenti collaboratori a realizzare, in parte ridipinte in epoca successiva. Il mio segno resta in quella centrale, in cui la decorazione ispirata alle ville romane era studiata per esser vista passeggiando. Il mio amico Castiglione scrisse “una loggia dipinta, e lavorata a stucchi, all’antica, bella al possibile” riferendone alla marchesana di Mantova, Isabella d’Este, grande appassionata d’arte, come lo sarebbe stata, oltre due secoli più tardi, l’imperatrice russa Caterina, che ne volle la replica esatta per il suo Ermitage pietroburghese.

Non piacque solo a papa Leone l’idea della loggia dipinta a imitazione dell’antico. Anche il cardinal Bibbiena, di cui per poco non divenni parente, volle una sua loggia nei pressi di quelle maggiori, e per di più anche una stufetta, ovvero una stanza da bagno privata, decorate a grottesche su miei disegni.

Raffaello opere 15

Stanza della Segnatura, La Disputa del Sacramento 1508-1511, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani
Stanza di Eliodoro, La Liberazione di san Pietro 1511-1513/14, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani
Stanza dell’incendio di Borgo, L’Incendio di Borgo 1514-1517, Città del Vaticano, Palazzi Vaticani

 

Bibliografia, mostre, filmati

  • Raffaello pittore e architetto a Roma. Itinerari, a cura di Francesco Benelli, Silvia Ginzburg, Officina Libraria, 2020
  • Nicole Dacos, Le Logge di Raffaello. L'antico, la Bibbia, la bottega, la fortuna, Jacabook 2008
  • Raffaello 'La Stanza della Segnatura' spiegata da Antonio Paolucci https://www.youtube.com/watch?v=A-JKRq1fXU0 durata 30’06”
  • Prof. Antonio Paolucci: La disputa del Sacramento di Raffaello https://www.youtube.com/watch?v=8odhAYowD6Y durata 47’50”
  • https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-05/musei-vaticani-raffaello-sala-costantino-restauro-arte-500.html

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 14) Tra cielo e terra: Raffaello e le figure femminili – Donne tra realtà e mito

Raffaello 2020

 

Della Galatea mi terrei un gran maestro,se vi fossero
la metà delle tante cose che Vostra Signoria mi scrive;
ma nelle sue parole riconosco l'amore che mi porta,
e le dico che,per dipingere una bella, mi bisogneria
veder più belle, con questa condizione: che Vostra

Signoria si trovasse meco a far scelta del meglio

(Raffello Sanzio, dalla Lettera al Castiglione, 1514 circa)

 

 

 

Parto citando un ritratto certo familiare ai bolzanini, quella Dama con il liocorno che è stata ospite della vostra città, ormai quindici anni fa, per ricordare le intense immagini femminili catturate dalla mia arte.

In quelli stessi anni, nel mio soggiorno fiorentino, assieme al facoltoso mercante Agnolo Doni ritrassi anche la moglie, Maddalena Strozzi, in una posa usata anche dal Perugino ma con debiti leonardeschi, raccontandone, attraverso gli abiti descritti con puntigliosa precisione dall’eco fiamminga, l’elevata posizione sociale ma anche lo status di sposa casta svelato dalle pietre del gioiello che ne adorna il petto.

Meno appariscenti ma altrettanto preziose le vesti della gentildonna nota come La Muta per quell’aurea di mistero che le conferiscono le labbra serrate, come a non voler rivelare la sua identità. Quello che ora vedete è frutto di una lunga rielaborazione nell’espressione del viso e negli abiti indossati, adatti ad una vedova, che ha fatto pensare alla mia protettrice Giovanna Feltria, la figlia di Federico di Montefeltro. Ma Giovanna era al tempo di età più matura rispetto alla donna raffigurata.

Anche  i miei ritratti hanno seguito un percorso di affinamento e maturazione, che raggiunse l’apice nel periodo romano. Con sempre maggiore efficacia sono riuscito a cogliere i sentimenti più riposti dell’effigiata, unendo naturalezza, resa realistica, beltà ideale.

La Velata, così detta dal velo simbolo delle donne sposate con figli, con quel viso – lo stesso della Madonna Sistina -  reso dolce dall’effetto di sfumato, è un tripudio di dettagli che esaltano la bellezza dell’opera e la mia maestria. Al matrimonio allude anche il pendente posto sui capelli, rubino e zaffiro con perla, usuale dono di nozze. La preziosa, sontuosa manica di seta bianca animata da pieghe e riflessi inquadrata in primo piano avrebbe fatto definire il quadro “ritratto di una manica” dal critico Ettore Camesasca.

Mostra invece le sue grazie, coperte appena da un velo leggero, La Fornarina. I capelli avvolti in un pannicello, lo stesso gioiello della Velata a ornarle il capo. Intorno al braccio un’armilla che porta il nome dell’autore, il mio, ma che suggerisce anche un legame di possesso più profondo. È forse davvero lei la donna senza la cui presenza non mi riusciva più nemmeno di lavorare? O è piuttosto un’allegoria dell’amore, con quel mirto sacro a Venere che si intravede sullo sfondo? Le mie labbra tacciono su questo.

Donne reali, ma anche creature del mito sono uscite dal mio pennello, a cominciare dalla piccola tavola dei miei anni giovanili con le Tre Grazie, dai colli e i capelli adornati dal corallo e con in mano i pomi d’oro delle Esperidi, in cui già palpita il mio amore per l’antico.

Per celebrare l’amore che il mio amico Agostino Chigi portava alla sua Francesca, raffigurai nella sua villa la nereide Galatea, in cui il Castiglione riconobbe la bellezza femminile ideale.  Per dipingere il mare da cui ella sorge e il cielo che la contorna ricreai, solo per lei, quel blu egizio di cui nel tempo si era pressoché scordata la formula.

Raffaello opere 14

Ritratto di gentildonna (detto La Muta) 1507-1508, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, part.
La Velata 1505-1506, Firenze, Galleria Palatina, part.
Le Tre Grazie 1503-1504, Chantilly, Musée Condé, part.

 

Bibliografia, mostre, filmati

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 13) Tra cielo e terra: Raffaello e le figure femminili - Le Madonne e le sante

Raffaello 2020Ma il quadro più bello del mondo, ne sono
convinto, è la Madonna della seggiola di Raffaello.
La conoscevo attraverso cento incisioni e copie,
e perciò mi ha illuminato con una bellezza familiare,
sebbene infinitamente più divina di quanto non l’avessi
mai vista.  Un artista la stava copiando, producendo
qualcosa di assai vicino, certo, a facsimile, e tuttavia
senza, naturalmente, quel misterioso non-so-che
che rende il quadro un miracolo

Nathaniel Hawthorne, Diario, 10 giugno 1858
(da I classici dell’Arte. Raffaello, p. 7)

 

 

Per secoli non ci fu casa in cui non fosse esposta un’immagine di Maria con Gesù tra le braccia, e assai sovente si trattava della copia di un mio quadro. Quello delle Madonne è stato un tema in cui mi sono espresso più e più volte – almeno una trentina - e anche il terreno su cui sono stato più imitato. Forse perché ho saputo infondere in un motivo che vantava una tradizione lunghissima e già assai variegata accenti nuovi e nuova raffinata armonia.

Anche le mie Madonne sono cambiate con me, dall’ispirazione umbra che guardava a Pinturicchio e Perugino, con movimenti contenuti e paesaggi appena accennati ma già con un’aura di tenerezza, come la Madonna Conestabile e la Madonna Solly. Arrivare a Firenze all’inizio del Cinquecento significò per me anche confrontarmi con il legame di gesti e sguardi nelle figure solenni di Maria con il Figlio scolpite dai grandi del secolo appena trascorso, ma anche cimentarmi con la mia rilettura delle composizioni piramidali di Leonardo e Michelangelo introducendo nei miei gruppi il piccolo San Giovanni e intrecciando in un gioco armonico la sfera del sacro con il mondo degli affetti, con gesti e sguardi estremamente umani, con la tenerezza e la grazia del rapporto tra madre e figlio. Ne scaturirono  la Madonna del cardellino, quella del Belvedere, la Madonna detta La belle jardinière per la sua ambientazione. Il paesaggio infatti si era fatto più presente, luminoso e vasto, e  in esso le figure umane si inserivano con naturalezza.

A Roma un soffio di monumentalità avrebbe percorso anche le mie Madonne, vestite di tinte più intense e pastose e con le carni che facevano più morbide. Ci sono riferimenti al colore degli artisti veneziani, c’è movimento, c’è tutta la mia capacità di dare tratti umani alle figure sacre. La dinamica Madonna di Foligno, la Madonna della Seggiola così simile a una madre vera che tiene stretto il suo bimbo, inserita in un tondo che mi richiese uno studio accuratissimo per ottenere un risultato così naturale.

La mia combinazione di fede, naturalismo e raffinatezza troverà estimatori e imitatori, lasciando tracce nelle raffigurazioni mariane dei secoli a venire.

C’è stato spazio tra le donne del cielo anche per qualche santa. Intensissima la pala con l’Estasi di Santa Cecilia dove al raccoglimento spirituale della patrona della musica e dei suoi compagni fanno da contraltare il coro mistico in alto e gli strumenti abbandonati ai loro piedi, fortemente illuminati.

Forse la più celebre di tutte è stata la Madonna voluta da papa Giulio per la chiesa di San Sisto e Santa Barbara a Piacenza, in onore della memoria del suo parente papa Sisto IV della Rovere, e per questo nota come Madonna Sistina. Ma sì, quella che si appoggia delicata alle nuvole tra una quinta di tende verdi molto reali, aperte ad inquadrarla, con i due angioletti in primo piano, che hanno finito per vivere anche una vita propria, raffigurati un po’ dappertutto. Un quadro che ebbe vicende assai complesse e avventurose, ma di questo vi parlerò in una prossima occasione.

Raffaello opere 13

Madonna detta “La Belle Jardinière” 1507 , Parigi, Musèe du Louvre (part.)
La Madonna do Foligno 1511-1512, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana (part.)
L’Estasi di Santa Cecilia 1513-1515 ca., Bologna, pinacoteca Nazionale (part.)

Bibliografia, mostre, filmati

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 12) I volti di Raffaello

Raffaello 2020

 

Sono stato consegnato alla storia con le fattezze dell’autoritratto conservato a Firenze, una delle città che più segnarono il mio percorso umano e artistico.

Un giovane dal volto delicato come si confaceva ai miei vent’anni o poco più. Ma come ero stato prima di allora? E più in là, che aspetto aveva assunto l’uomo, l’artista prediletto dai papi i cui giorni ahimè furono troppo brevi?

La tradizione ha voluto ritrovare il mio viso qua e là tra le mie opere, sui disegni e negli affreschi, a volte con fondati motivi, a volte per pura speculazione, facendone leggenda da continuare a tramandare. Mi hanno cercato anche nei dipinti di altri, primo fra tutti mio padre Giovanni.

Un’attenzione che un po’ mi lusinga, un po’ mi diverte. Vi invito a un gioco: andare a caccia dei volti di Raffaello assieme a me.

Partiamo da mio padre: mi avrebbe raffigurato, all’età di nove anni, in veste d’angelo nella Sacra conversazione per la cappella di Pietro Tiranni nella chiesa di San Domenico a Cagli, non lontano dalla nostra Urbino.
Il mio volto d’adolescente l’avrei fissato poi io stesso in un paio di disegni.
Il mio illustre collega Bernardino di Betto, il Pinturicchio, ci avrebbe ritratti insieme in uno degli affreschi della Libreria Piccolomini a cui mi chiamò a collaborare a Siena, abbigliandomi con vistose calze rosse.
Da questa città me ne andai a Firenze, per quattro anni, ed è in quel tempo che dipinsi il mio famoso autoritratto. Ma sono davvero io?
Sembrerebbe confermarlo l’immagine che a Roma - perdonate, oggi Città del Vaticano - occhieggia di lato nella Scuola di Atene e che tanto assomiglia a quel dipinto. E poi, quale pittore avrebbe potuto resistere alla tentazione di lasciare una così personale firma? Così dicono che avrei bissato nella Stanza accanto, mascherandomi tra i portatori di papa Giulio II nella Cacciata di Eliodoro. Ormai c’era una bella barba ad ornarmi il volto, come si confaceva a un uomo di successo, a capo di una grande bottega, ricercato e stimato. Così mi sono raffigurato anche nel mio ultimo ritratto, alle spalle di un amico, con lo sguardo deciso, in attesa di ciò che la vita ancora mi avrebbe riservato.

Raffaello opere 12

Raffaello Sanzio, Autoritratto 1506 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi
Giovanni Santi, Cappella Tiranni, Sacra conversazione 1490 ca., Cagli, chiesa di San Domenico, (part.)
Raffaello Sanzio, Ritratto di giovane (Autoritratto?) 1499 ca., Oxford, Ashmolean Museum
Pinturicchio, Canonizzazione di Santa Caterina da Siena 1502-1507, Siena, Libreria Piccolomini, (part.)
Raffaello Sanzio, Stanza della Segnatura, Scuola di Atene, 1509-1510, Città del Vaticano, Musei Vaticani, (part.)
Raffaello Sanzio, Stanza di Eliodoro, Cacciata di Eliodoro, Città del Vaticano, Musei Vaticani,  (part.)
Raffaello Sanzio, Autoritratto con un amico 1518 ca., Parigi, Museo del Louvre

 

 

Bibliografia e filmati

 

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 11) Raffaello, Raimondi, Dürer: il potere delle incisioni

Raffaello 2020

1515 / Raffahell de Urbin der so hoch peim /
popst geacht ist gewest hat der hat /
dyse nackette bild gemacht Und hat /
sy dem albrecht dürer gen nornberg /
geschickt Im sein hand zu weysen


1515 Raffaello di Urbino, che è tanto considerato dal papa
ha realizzato quest’immagine di nudi e li ha inviati ad
Albrecht Dürer a Norimberga per mostrargli la sua mano

(annotazione autografa di Dürer su un disegno inviatogli da Raffaello)

 

 

Ho compreso ben presto quanto importante fosse far conoscere le mie opere, al di là dei committenti e dei luoghi a cui erano destinate. A tal fine, uno strumento imprescindibile furono le incisioni: attraverso le stampe le immagini da me create arrivarono in tutt’Italia e anche ben al di là delle Alpi, e diciamolo, l’incisione contribuì a alimentare il mio mito. Per questo la tenni in grande considerazione.

Mi sono avvalso soprattutto dell’opera di Marcantonio Raimondi, considerato il più valente nell’uso del bulino, che divenne il maggior divulgatore di quanto scaturito dalla mia creatività. Incisione di traduzione, l’avrebbero chiamata.

Si era formato a Bologna, nei cui pressi era nato, Marcantonio; a Venezia e Firenze aveva ampliato le proprie conoscenze, per arrivare poi a Roma, dove ci conoscemmo, attorno al 1510.

Tra gli artisti a cui si era ispirato nella sua formazione c’era anche Albrecht Dürer, con cui per altro ebbe qualche contrasto. Un collega di cui conoscevo e avevo studiato le xilografie e che stimavo, come racconta, piuttosto enfaticamente a dire il vero, anche Vasari: “Avendo dunque veduto Raffaello lo andare nelle stampe d’Alberto Durero, volonteroso ancor egli di mostrare quel che in tale arte poteva, fece studiare Marco Antonio Bolognese in questa pratica infinitamente, il quale riuscì tanto eccellente che gli fece stampare le prime cose sue”.

Ci tenevo che il maestro di Norimberga conoscesse quello che andavo facendo, tanto che gli inviai i miei disegni.  Un’ammirazione reciproca, direi: infatti egli annotò addirittura la notizia della mia morte sul suo diario del viaggio nei Paesi Bassi. Strana la vita: pure Dürer sarebbe morto un 6 di aprile, otto anni dopo di me.

Quello tra me e Raimondi fu un sodalizio duraturo, ci legava tra l’altro la passione per l’antico, ma riletto in chiave moderna.  Il nostro incontro mutò anche il suo modo di lavorare, che si arricchì di modulazioni, luci e contrasti, veri e propri effetti pittorici.  Marcantonio non riprese solamente opere concepite per una diversa destinazione: alcuni disegni li pensai proprio perché diventassero stampe, a cominciare dalla Strage degli innocenti, così fortemente drammatica. Poi vennero il Quos ego ispirato all’Eneide, il Giudizio di Paride, uno dei vertici della nostra collaborazione, la Peste di Frigia. Lascio la parola a Vasari, che così li ricorda nelle sue pagine dedicate all’incisore: “Fu intagliata la carta degl’innocenti con bellissimi nudi, femine e putti, che fu cosa rara; et il Nettuno con istorie piccole d’Enea intorno, il bellissimo ratto d’Elena, pur disegnato da Raffaello”.

Dopo di lui anche altri incisori si rifaranno alla mia opera, come i suoi allievi Agostino Veneziano e Marco Dente o come Ugo da Carpi, e altri ne seguiranno, anche dopo la mia morte, ispirandosi sia ai miei disegni che ai dipinti, o inventando nuove immagini da me ispirate.

E da bravo imprenditore, seguendo l’esempio nordico, all’interno della mia bottega identificai chi si doveva occupare della gestione di quello che oggi sarebbe un ramo d’azienda: Baviero de’ Carrocci, detto  il Baviera, che aveva iniziato la sua carriera macinando i colori.

E ve le ricordate le 500.000 lire uscite dal bulino di Trento Cionini con il mio autoritratto giovanile e la Galatea che feci per Agostino Chigi sul recto e un dettaglio della Scuola di Atene sul verso? Il taglio di banconota più alto che mai ci fu per la lira, in circolazione dal 1997 al 2002, che onore!

Raffaello opere 11

Marcantonio Raimondi da Raffaello, Il Giudizio di Paride 1513-1515, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, (part.)
Raffaello, Tre uomini stanti (Studio per la Battaglia di Ostia), 1515, Vienna, Albertina-Museum (part.)
Marcantonio Raimondi da Raffaello, La peste di Frigia (Il morbetto), 1516 ca., Bologna, Pinacoteca Nazionale

 

Bibliografia, mostre, filmati

 

 

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 10) I cartoni per gli arazzi della Cappella Sistina

Raffaello 2020

 

In die S. Stephani jussit Papa appendi suos pannos de Rassia
novos  pulcherrimos, pretiosos, de quibus tota cappella
stupefacta est in aspectu illorum, qui, ut fuit universale
judicium, sunt res,  qua non est aliquid in orbe nunc  pulcrius
(Nel giorno di Santo Stefano il Papa comandò di appendere

i suoi nuovi arazzi, bellissimi, preziosi, per cui tutta la cappella
sbalordisce per la loro vista  e che per universale giudizio
sono cose di cui non c’è nulla di più bello al mondo).
Paris de Grassis, maestro di cerimonie di Leone X

 

Opere d’arte senza eguali al mondo, così furono salutati i sette arazzi che per le festività natalizie del 1519 vennero esposti nella Cappella Sistina. Fili di seta e d’oro mirabilmente intrecciati  dai maestri fiamminghi, ma la loro infinita bellezza  era ancora una volta frutto del mio genio. Un'altra vetta della mia carriera e un momento di svolta nell’arazzeria europea, che si attardava nel linguaggio tardo medievale e che dopo di allora adottò il mio nuovo linguaggio.

A commissionarmeli assieme a ulteriori tre era stato, tra la primavera e l’estate del 1515, papa Leone X, che voleva lasciare anche il proprio segno nella cappella voluta da papa Sisto IV, completando l’apparato decorativo che ne ricopriva le pareti.  Gli arazzi erano destinati ad essere esposti sotto i dipinti murali quattrocenteschi nelle più solenni ricorrenze liturgiche. Esaltano Pietro come principe degli apostoli e Paolo come grande missionario cristiano. Alla fine del 1516 i cartoni erano pronti e il mio conto saldato. Ricevetti 100 ducati per ciascuno di essi, ben più cara sarebbe stata pagata l’esecuzione. Per la realizzazione fu scelta la manifattura più celebre, quella di Pieter van Aelst – noto anche come Pierre d'Enghien - a Bruxelles, arazziere della reggente Margherita d’Asburgo e dei sovrani spagnoli, e nominato per quegli arazzi valletto papale.

Mentre la tessitura era in corso, il 30 luglio 1517, il cardinale Luigi d’Aragona fece visita alla bottega rimanendo estasiato alla vista degli arazzi in lavorazione, e il suo segretario Antonio de Beatis  annotò  che ognuno di essi era costato 2000 ducati.

La serie dedicata a San Pietro si apre con La pesca miracolosa e La consegna delle chiavi a San Pietro, seguono La guarigione dello storpio e La morte di Anania. Le storie di San Paolo comprendono La lapidazione di Santo Stefano e La conversione di Saulo (cartoni perduti), La punizione di Elima, Il sacrificio di Listra,  San Paolo in prigione (cartone perduto), La predica di San Paolo ad Atene.

Le bordure di cinque degli arazzi raffigurano, come fossero realizzate nel bronzo, le gesta del mio committente, dall’elezione a cardinale al soglio pontificio e quelle restanti rappresentano episodi della vita di San Paolo, e per idearle mi appoggiai alla mia valente bottega ma soprattutto alla mia conoscenza dell’arte antica.

I cartoni rimasero nella bottega di van Aelst almeno fino al 1573 e nel 1623 vennero acquistati per conto del futuro re inglese Carlo I passando più volte di mano fino a quando la regina Vittoria nel 1865 li destinò ad essere esposti là dove si trovano tutt’ora, al Victoria & Albert Museum di Londra. Ne rimangono sette. Tra quelli scomparsi, La conversione di Saulo era entrata a far parte praticamente subito della collezione del cardinale veneziano Domenico Grimani, a significare quanto anch’essi fossero sentiti come vere opere d’arte autonome. Ancora si conservano alcuni miei disegni riferibili ai miei studi per i cartoni, con qualche variazione rispetto a quelli.  

L'interesse e l’influenza che gli arazzi suscitarono fu enorme e continuò anche nei due secoli successivi. Molte delle corti europee vollero avere le proprie serie e prestigiose manifatture anche al di fuori delle Fiandre ne curarono la realizzazione, basandosi tanto sui cartoni originali che su ulteriori repliche. Francesco I di Francia, Enrico VIII d'Inghilterra,  re Filippo II di Spagna ma anche il cardinale Ercole Gonzaga ebbero le loro serie,  sulle cui bordure furono inseriti motivi personalizzati e i loro stemmi. Talvolta gli arazzieri introdussero varianti e motivi decorativi che si scostavano dai miei originali ma che rispondevano al loro gusto personale.

Anche questi arazzi conobbero spesso vicende avventurose e talvolta, come nel caso di quelli  appartenuti alle collezioni di Enrico VIII d’Inghilterra e poi finiti a  Berlino ,  andarono distrutti.

Oggi sopravvivono serie  più o meno complete a Madrid, a Dresda e in varie città italiane.

Il ciclo di Mantova, acquistato dal Cardinale Ercole Gonzaga, costituisce una delle prime riedizioni ad opera di tessitori di Bruxelles. Lo stemma del cardinale, realizzato con una tecnica diversa dal resto, fa pensare che li abbia acquistati già pronti e li abbia poi personalizzati. Nei margini sono presenti allegorie come i Quattro Elementi, Divinità, le Ore, le Virtù, le Stagioni e anche scene mitologiche quali le Fatiche di Ercole. Nel testamento redatto nel 1557 dal Gonzaga si parla per la prima volta degli arazzi donati al Duomo; ma nella versione del 1563 essi sono destinati alla Chiesa Palatina di S. Barbara, di cui era iniziata allora la costruzione. Qui gli arazzi rimasero per circa 2 secoli,  passando nel 1776 a Palazzo Ducale.

A Loreto nel Museo Pontificio Santa Casa sono conservati nove arazzi con gli atti degli Apostoli. Vennero realizzati a Bruxelles, questa volta presso la manifattura di Heinrich  Mattens tra il 1620 e il 1624, con aggiunta di particolari di gusto fiammingo rispetto ai miei cartoni.  Sulla bordura inferiore presentano le virtù teologali, su quelle laterali le virtù cardinali. Vennero donati al santuario lauretano nel 1667 dal nobile genovese Giovanni Battista di Niccolò Pallavicino.  A Loreto c’è anche un altro arazzo ispirato ad una mia opera, la madonna del Divino Amore, parte di una serie cinquecentesca  sulla vita della Vergine.

Nel Palazzo Ducale della mia Urbino sono esposti sette arazzi secenteschi giunti nel 1923 dal Palazzo Reale di Milano e che fanno ora parte della Galleria Nazionale delle Marche. Portano in alto lo stemma del cardinale Mazzarino, che aveva acquistato i primi tre, provenienti dalla manifattura inglese di Mortlake, dal duca Filippo Herbert di Pembroke, completando la serie  con altri quattro, realizzati nella manifattura francese di Lefebvre dopo la metà del secolo, che riprendono la stessa bordura con cariatidi e festoni di quelli inglesi.

Nel 2010 successe qualcosa che io non potei vedere in vita: la riunione dei miei cartoni superstiti con quattro arazzi della serie originale in occasione della visita di papa Benedetto XVI a Londra. Un evento storico, così come la breve esposizione di quest’anno nella Cappella Sistina di tutti e dieci gli arazzi contemporaneamente, cosa mai più avvenuta dalla fine del XVI secolo, per ricordare i cinquecento anni dalla mia scomparsa.

Stiscia Raffaello 10

Raffaello Sanzio, La pesca miracolosa 1515-1516, Londra, Victoria & Albert Museum, part.
Raffaello Sanzio, La consegna delle chiavi 1515 ca., Parigi, Louvre, part.
Pieter van Aelst (bottega) su disegno di Raffaello, La lapidazione di Santo Stefano, Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana, particolare della bordura

 

Bibliografia, mostre e filmati:

  •  Raffael – Macht der Bilder. Die Tapisserien und ihre Wirkung (a cura di Stephan Koja), Sandstein Verlag, 2020 (catalogo della mostra, Dresda, 06.06—30.08.2020)
  •  Raphael. Cartoons and Tapestries for the Sistine Chapel (a cura di Mark Evans, Clare Brown, Arnold Nesselrath), V&A Publishing, 2010 (catalogo della mostra tenutasi a Londra, 08.09-24.10.2010)
  • Tristan Weddingen, “Tapisseriekunst unter Leo X. Raffaels ‚Apostelgeschichte‘ für die Sixtinische Kapelle” in  Hochrenaissance im Vatikan 1503-1534. Kunst und Kultur im Rom der Päpste I (a cura di Petra Kruse), Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland GmbH, 1999, pp. 268-284 (catalogo della mostra tenutasi a Bonn, 11.12.1998-11.04.1999)
  • Tapisserien im Zeichen der Kunst Raffaels (catalogo della mostra tenutasi a Vienna 10.06-24.07.1983)
  • Uffizi TV - Variazioni dall'antico: Raffaello e Leone X nelle bordure degli arazzi vaticani  (con Ilaria Romeo) https://www.youtube.com/watch?v=UPSb5-pEW1g durata 20’53”
  • Sugli arazzi di Mantova: http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/MN020-00082/
  • Gli arazzi raffaelleschi, Museo Pontificio Santa Casa (Loreto)   https://youtu.be/15DeHyYmM_Y durata 4’09”

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 9) Raffaello conservatore ante litteram

Raffaello 2020

Onde, se ad ognuno è debita la pietade verso li parenti
e la patria, mi tengo obbligato di exponere tutte le mie piccole
forze acioché più che si può resti viva qualche poco di imagine
e quasi un'ombra di questa, che in vero è patria universale di
tutti i cristiani, e per un tempo è stata nobile e potente, che
già cominciavano gli uomini a credere che essa sola sotto
il cielo fosse sopra la fortuna e, contra'l corso naturale,
exempta dalla morte e per durare perpetuamente.

(Raffaello Sanzio e Baldassarre Castiglione, lettera a Leone X)

 

La profonda conoscenza che mi ero andato sempre più facendo studiando le antichità romane – che ben si sarebbe vista nelle decorazioni delle Logge ispirate alla Domus Aurea da poco riscoperta,  non solo quelle per il Santo Padre ma pure la Loggetta del Cardinal Bibbiena e la Loggia di Psiche nella villa del mio buon amico Agostino Chigi – convinsero papa Leone X a fare di me il suo «praefectus marmorum et lapidum omnium». L’incarico del 27 agosto del 1515, redatto da Pietro Bembo, faceva sì che tutti i marmi e le lapidi scavati entro un raggio di dodici miglia dalla città, mi venissero sottoposti prima di un eventuale utilizzo per la Fabbrica di S. Pietro, per valutarne il valore.

In pratica divenni il conservatore delle antichità e ne conseguì il compito di mappare ciò che ancora restava della Roma imperiale, le antiche 14 regioni augustee. Mi ci misi d’impegno, scrutando quei resti gloriosi come nessuno aveva fatto prima, conscio che nello studio attento dei modelli antichi ci fosse la base per l’arte e l’architettura rinascenti.

Intuii che non bastava redigere delle piante, ma bisognava rendere visibili gli alzati, riportare per ogni edificio anche il prospetto e  le sezioni: “E, per satisfare ancor più compitamente al dessiderio di quelli che amano di vedere e comprendere bene tutte le cose che saranno dissegnate, avemo (…) dissegnato ancora in prospettiva alcuni edificî (…) accioché gli occhi possino vedere e giudicare la grazia di quella similitudine. (…) E, benché questo modo di dissegno in prospettiva sia proprio del pittore, è però conveniente ancora al architecto”. Sono parole che scrissi nella lettera che qualche anno più tardi, nel 1519, indirizzai a Leone X per accompagnare i disegni che avevo eseguito e da cui trapela anche tutto il mio dolore per vedere “Quanta calcina si è fatta di statue et d'altri ornamenti antichi” per abbellire la Roma dei papi.

La scrissi a quattro mani, assieme al Castiglione, e ancora si conserva a Mantova quella minuta di suo pugno.

Ci voleva un letterato per esprimere quello che sentivo e dare forza al mio appello. Sentimenti nuovi e potenti, che hanno colpito anche voi moderni, se mi ritenete il primo conservatore e a quella lettera fate risalire il germe che porterà alla tutela dei beni culturali, che ai miei tempi non erano né classificati né protetti dalle speculazioni edilizie.

Spiegai quindi come intendevo procedere in quella rigorosa ricostruzione grafica, descrivendo minuziosamente anche la speciale bussola a cui avrei fatto ricorso per i rilievi e per posizionare gli edifici all’interno della mappa.

Quella lettera fu in un secondo momento rielaborata, per farne una versione adatta alla stampa come prefazione di un libro. Ma la mia mappa scomparve alla mia morte e non ne rimane traccia.

Quanto amassi l’antico è testimoniato anche  dal mio desiderio di riposare una volta dipartito nel Pantheon, somma d’ogni perfezione.

Raffaello opere 9

Loggetta del Cardinal Bibbiena, Città del Vaticano, Palazzo Apostolico, part.
Raffaello e Baldassarre Castiglione, Lettera a papa Leone X s.d. [1519], Mantova, Archivio di Stato, Archivio Castiglioni, part.
Raffaello Sanzio, Veduta interna del Pantheon, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, part.

 

Bibliografia e filmati:

  • Francesco Paolo Di Teodoro, Lettera a Leone X di Raffaello e Baldassarre Castiglione, Leo S. Olschky Editore
  • Vittorio Emiliani, Raffaello tradito. La rivoluzione mancata del primo «soprintendente» di Roma, Bordeaux 2020
  • La Lettera a Leone X (con Francesco Paolo Di Teodoro) https://www.youtube.com/watch?v=70g3mg1TZAc durata 7’28”
  • La mostra "Raffaello 1520 - 1483". "Il suo principale talento? Saper vivere" (con Melania Mazzucco) https://youtu.be/m4Jg98gGVOI durata 7’49”
  • La magnificenza di Roma antica negli occhi di Raffaello (con Francesca Ghedini) ‘https://youtu.be/iGIKQ4EpgLc ” durata 7’01”
  • Raffaello e l'antico (con Vincenzo Farinella) https://www.youtube.com/watch?v=wA-nh87He7A durata 4’31”

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 8) Raffaello architetto, tra San Pietro e Villa Madama

Raffaello 2020

 

Nostro Signore [Papa Leone X] con l'onorarmi m'ha messo un gran peso sopra spalle. Questo è la cura della fabrica di S Pietro. Spero bene di non cadervici sotto, e tanto più quanto il modello ch'io nho' fatto piace a Sua Santità et è lodato da molti belli ingegni. Ma io mi levo col pensier più alto. Vorrei trovar le belle forme degli edifici antichi, né so se il volo sarà d'Icaro.
(Raffaello, lettera a Baldassarre Castiglione)

 

 

Dopo la scomparsa del Bramante appariva naturale che come architetto del papa gli succedesse un altro marchigiano. L’incarico del 1° agosto 1514 comprendeva anche la direzione della fabbrica di San Pietro: arrivare nel più importante cantiere romano dei miei tempi era un compito da far girare la testa, pur se ad affiancarmi c’erano Fra’ Giocondo e Giuliano da Sangallo.

Ma non ero del tutto digiuno di esperienza, già svariati progetti portavano la mia firma. Anche in questo campo ho svolto un ruolo non certo marginale. Non a caso il Vasari mi ha chiamato pittore e architetto, troppo a lungo questo fatto venne dimenticato, scindendo due aspetti che in realtà sono solo facce diverse del mio essere artista. Pure in questo campo influenzai chi venne dopo di me.

In me l’amore per l’architettura era presente fin dalla mia formazione giovanile ad Urbino, crocevia di artisti e intellettuali. E poi basterebbe guardare gli edifici che fanno da sfondo ai miei dipinti, per comprendere che di conoscenze ne avevo, ben superiori a quelle di molti miei colleghi pittori.  Dal tempietto dello Sposalizio della Vergine, studiato in ogni dettaglio, quando avevo da poco superato i vent’anni,  alle più suntuose architetture degli affreschi delle Stanze vaticane, che fanno dello spazio pittorico uno spazio reale, è facile immaginare che io li abbia prima tracciati in pianta e in prospetto.

Ero da poco a Roma quando era arrivato l’incarico della corporazione degli orafi per la piccola chiesa intitolata al loro protettore Sant’Eligio.

Bramante e Giuliano da Sangallo sono stati per me fonte di ispirazione e lo sono state ancor più le suggestioni che mi venivano dal contatto con l’antico. Nello studio delle vestigia dell’antichità mi fu preziosa la traduzione del trattato di Vitruvio che avevo commissionato a Fabio Calvo.

Ma torniamo alla fabbrica di San Pietro.  Mantenendo la pianta a crociera voluta da Bramante innestai un corpo longitudinale. Né pensai di modificarne la cupola. Avevo bisogno di visualizzare la basilica nel suo insieme e nei miei fogli la disegnai in una nuova tecnica in proiezione ortogonale.

Intervenni anche in un altro progetto del mio conterraneo: per ottenere più ampi spazi per le decorazioni che avevo ideato, ripensai le Logge Vaticane con una nuova articolazione delle pareti e con volte a padiglione.

 

Dei miei palazzi scrisse anche il Vasari, usando entusiastici aggettivi per quello progettato nel quartiere di Borgo per il protonotario apostolico Giovanbattista Branconio dell’Aquila, numismatico e consigliere del papa.

In una innovativa variazione del palazzo rinascimentale sostituii il consueto bugnato del pianterreno con un ordine tuscanico ad arcate cieche, e al piano nobile rinunciai ai classici ordini per una facciata pensata per riflettere le suddivisioni interne, in un dialogo con lo spazio per cui il palazzo era stato concepito. Purtroppo la mia bella creatura sarebbe stata abbattuta quando il Bernini realizzò il colonnato che abbraccia San Pietro.

Per Firenze disegnai nel 1516 il progetto di palazzo per il vescovo Giannozzo Pandolfini, ma della realizzazione se ne occuparono i da Sangallo.

 

Anche l’amico Agostino Chigi si avvalse delle mie capacità di architetto. Ancor prima che arrivasse la nomina papale, per lui avevo disegnato le scuderie adiacenti alla sua villa che voi chiamate Farnesina, elegante dimora per cento e più cavalli poi demolita. Ma il gioiello che creai per lui è la cappella funeraria per la sua stirpe, la seconda a sinistra nella basilica di Santa Maria del Popolo, a cui metterà la mano un secolo dopo di me il Bernini, per il papa discendente di Agostino, Alessandro VII. Per quella cappella progettai tutto, disegnai i mosaici della volta, i monumenti funerari e persino le statue. La semplicità dell’esterno non rivela la ricchezza interna, che comincia dai marmi all’ingresso che sono un richiamo all’atrio del Pantheon. Avevo pensato anche alla pala per l’altare, ma non feci in tempo ad andare oltre qualche abbozzo.

Agostino morì nel mio stesso anno, il 1520. Nel suo testamento annotò il suo desiderio che la cappella di famiglia venisse portata a compimento secondo le mie idee.

 

A maggior gloria della schiatta dei Medici, la famiglia di Leone X, ideai, pur senza completarla, anche quella che venne poi chiamata Villa Madama, per essere stata in possesso di Margherita, figlia naturale dell’imperatore Carlo V, posta sulle pendici di Monte Mario. L’incarico mi venne affidato nel 1518 dal cardinale Giulio, nipote del Papa, umanista e cultore d’arte, destinato a salire più tardi anch’egli sul trono di Pietro. Le forme rinascimentali vennero filtrate attraverso la lezione dell’antico, l’edificio fu pensato per integrarsi nella natura circostante, in una ricchezza di logge aperte, porticati, esedre e splendidi giardini digradanti. Per la decorazione m’ispirai alla Domus Aurea e alle altre ville romane, per gli spazi alla Villa dell’imperatore Adriano che nell’aprile del 1516 avevo visitato in compagnia di Beazzano, Navagero e Castiglione, letterati che tutti ritrassi. La struttura e la decorazione dovevano armonizzarsi in un tutt’uno, riprendendo funzioni e forme delle dimore dell’antica Roma come nessuno era riuscito a fare prima di me.

 

Il 24 marzo 1520 feci ancora in tempo ad acquisire un terreno a via Giulia, dove avevo in animo di realizzare la casa per un committente speciale per cui avrei potuto applicare tutto quanto ero andato apprendendo: me stesso. Di quel progetto non rimasero che le idee: presto, prestissimo avrebbe avuto temine la mia parabola terrena.

Raffaello 2020

Pianta della Basilica di San Pietro secondo il progetto di Bramante e Raffaello, da Sebastiano Serlio, terzo libro dell’architettura, p. XXXVII, Venezia, 1540
Giovan Battista Naldini, Palazzo Branconio dell’Aquila 1560 ca, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, 230 Ar., part.
Cordini Antonio detto Antonio da Sangallo il Giovane per Raffaello, Pianta di Villa Medici a Monte Mario 1519, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, 314A,part.

 

Bibliografia e filmati:

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 7) Raffaello poeta: i sonetti

Raffaello 2020

 

(…) Quanto fu dolce el giogo e la catena
De toi candidi braci al col mio volti
Che sogliendomi io sento mortal pena (…)
(dal Sonetto I di Raffaello, 1509 circa)


 

 

 

 

Erano i primi anni del mio soggiorno romano. Mentre tracciavo sui fogli le immagini che sarebbero andate a comporre gli affreschi che papa Giulio II mi aveva commissionato per la Stanza della Segnatura, accanto alle figure annotavo rapido anche dei versi.
Ut pictura poesis, diceva Orazio, accostando pittura e poesia. E di me hanno detto “poeta mutolo”, a significare che le mie opere, specie i miei ritratti, avevano la stessa forza dei componimenti poetici, benché senza parole.

Con quei versi volevo dire che nemmeno le parole mi sono mancate. L’ambiente in cui mi muovevo era intriso di letterati e poeti, mi confrontavo con Baldassare Castiglione e Pietro Bembo sui temi da tradurre in immagini. E loro lodarono i miei ritratti nei loro scritti, né furono i soli. A proposito del Castiglione, dal perfetto cortigiano si aspettava che sapesse suonare, disegnare e comporre versi. Non potevo non essere all’altezza. E poi, io ero figlio d’arte anche in questo senso. Mio padre, letterato oltre che pittore, aveva messo mano, senza per altro portarlo a compimento, a un grande componimento in onore della vita e delle gesta del suo mecenate Federico di Montefeltro, iniziato quando questi era ancora in vita.  In quella sua Cronaca rendeva omaggio anche agli artisti del suo tempo, da molti dei quali prese ispirazione per i suoi dipinti.
I miei colleghi Leonardo, Bramante e Michelangelo non disdegnarono di prendere la penna oltre che il pennello.
Quanto a me, come scrive il Vasari, “Fu Raffaello persona molto amorosa et affezionata alle donne” e non stupisce quindi che per raccontare la passione io mi sia cimentato con “l’arte del dir per rima” creando dei sonetti, ispirandomi alla tradizione del Petrarca, da me ammirato, riecheggiandone temi e lessico. Come dico nel mio terzo sonetto, “Ma io restai pur vinto al mio gran focho/ che mi tormenta che dove l'on sole/ disiar di parlar più riman fiocho” è sempre l’amore che tutto mi prende e che mi costringe a non svelarne l’oggetto “pel gaudio taccio che nel petto celo” narra il secondo sonetto. È un amore fisico ma che la poesia sublima in estasi spirituale, con un’aura di grazia e uno sguardo verso l’antico “io grido e dicho or che sei tu il mio signore/dal centro al cel più su che Iove e Marte” come nel terzo sonetto e al contempo c’è nelle mie parole un’eco di insegnamento morale. Nel quinto hanno visto una mia voce più personale “Dure fatiche e voi famosi afanni /risvegliate il pensier che in otio giace/mosstateli quel cole alto che face/salir da bassi ai più sublimi scanni.”
Tra i disegni per la mia Disputa del Sacramento che si sono conservati, pur in luoghi lontani tra loro, si possono ancora leggere gli abbozzi di cinque di questi componimenti tracciati dalla mia mano e con le correzioni e le varianti che mi affioravano alla mente;  me ne hanno attribuito pure un sesto, legato all’immagine della Fornarina. È davvero mio?  Chissà…
E oggi, per ricordare il mio cinquecentenario, c’è chi ha messo in musica per la prima volta i miei sonetti, riprendendo una tradizione rinascimentale per cui vennero create delle arie pensate proprio per poter cantare la poesia.

Raffaello opere 7

Sonetto IIIb - Studi per sant’Ambrogio e Pietro Lombardo per la Disputa del Sacramento e altri studi 1509, Vienna, Albertina (https://sammlungenonline.albertina.at)
Sonetto IV - Studi di figure e bozza di un sonetto 1508-1510, Oxford, Ashmolean Musem (https: collections.ashmolean.org)
Sonetto V - Busto d’uomo piegato in avanti, manoscritto di un sonetto – Studio per la Disputa del Sacramento 1508-1509 ca., Montpellier, Musée Fabre, foto di Frédéric Jaulmes (https://museefabre.montpellier3m.fr/)

Bibliografia e filmati
•    Ginevra Latini, Raphael da Urbino. I Sonetti, Arbor Sapientiae Editore, 2020
•    Rime e lettere di Raffaello Sanzio, (a cura di Ettore Camesasca, riedizione), Garzanti, 2020
•    M. Faietti, Raffaello, “poeta mutolo”, in Raffaello la poesia del volto. Opere dalle Gallerie degli Uffizi e da altre collezioni italiane, a cura di Eadem, V. Markova, con la direzione scientifica di E. D. Schmidt, catalogo della mostra (Mosca, Museo A. S. Puškin), Mosca 2016, pp. 24-45
•    Giacomo Vanzolini, Dei sonetti di Raffaello Sanzio, Premiata Tipografia Economica, Ascoli Piceno, 1902
•    Raffaello 2020  - Musica, retorica, contrappunto e sprezzatura” (con  M° Simone Sorini) https://youtu.be/fjfaREfXKAQ durata 55’22”
•    Musica rinascimentale "RAPHAEL URBINAS - Pictor Musicae" 1520/2020 (con M° Simone Sorini)  https://www.youtube.com/watch?v=m8x9criozt4 durata 4’18”
•    Gli amici letterati di Raffaello (con Lina Bolzoni) https://youtu.be/-EILU0jssEE durata 4’40”

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 6) Non fui solo pittore

Raffaello 2020

 

Signor conte.
Ho fatto disegni in più maniere sopra l’invenzione di Vostra
Signoria e sodisfaccio a tutti,  se tutti non mi sono adulatori,
ma non sodisfaccio al mio giudicio, perché temo di non
sodisfare al vostro. Ve gli mando. Vostra Signoria faccia eletta
d’alcuno, se alcuno sarà da Lei stimato degno.

(Raffaello Sanzio, Lettera al Castiglione)

 

 

“Divin pittore”, così sono passato alla storia. Un’immagine splendida, ma non racconta tutto di me.

Sono stato anche altro, molto altro.

Dietro ogni pittore di vaglia c’è stato un grande disegnatore, e anche in questo sono cresciuto nel tempo. Non sarei considerato insuperabile nella composizione se non mi fossi dedicato con tanta attenzione al lavoro di preparazione e studio. I miei disegni oggi permettono a voi di ricostruire la genesi di alcune delle mie opere, i cambiamenti, le idee e le elaborazioni attraverso cui sono nate. Forse non è un caso che il più grande cartone rinascimentale che sia giunto ai giorni vostri è quello per la mia Scuola di Atene. Sì, è vero, in questa versione mancava ancora Michelangelo, ma come non inserirlo?

Anche architetto, certo, come già ho ricordato. La mia provenienza stessa era una garanzia, “architetto di Urbino” era un vero e proprio concetto ai miei tempi. Lo confesso, in qualche momento mi sono tremati i polsi, ma non sono mai stato uomo che si sottraesse alle sfide. Anzi, ho addirittura commissionato la traduzione del “De architectura” di Vitruvio!

Ho composto pure dei sonetti, appuntati in mezzo ai miei disegni e cartoni, anche se devo ammetterlo, in questo mio padre, Giovanni Santi, è stato migliore di me.

Mi sono avventurato persino nel campo della scultura, soprattutto di quella in cui eccelsero i mastri orafi, anche se delle creazioni da me concepite e da altri realizzate, non restano che documenti scritti o visivi, poiché hanno subito la sorte di tanti altri oggetti forgiati in metalli preziosi, dati in pegno, fusi, perduti.  Ne sa qualcosa Francesco Maria della Rovere: quando si ritrovò in esilio, Isabella d’Este, sua suocera e insaziabile collezionista, cercò di comperagli a peso l’argenteria da me disegnata ed egli rifiutò segnato.

Sono stato un vero e proprio imprenditore dell’arte. Ho intuito che non bastava creare, riversare sulla tela quello che mi ardeva dentro. Bisognava farlo conoscere, moltiplicarlo, e per questo c’era uno strumento formidabile: le incisioni. Ne nacque una collaborazione importante, quella con Marcantonio Raimondi.

E i miei disegni e le riproduzioni a stampa sono state perfino utilizzate come fonte d’ispirazione per la decorazione di ceramiche uscite dalle botteghe delle mie terre.

E creando una grande bottega, attraverso i miei allievi e collaboratori ho lasciato un segno anche dopo che me ne sono andato.

A guardarlo attraverso la lente del tempo, sembra che tutto mi sia riuscito facile, spontaneo, anche se dietro ci fu molto studio e impegno, ma non è forse questa la sprezzatura, temine che il mio amico Baldassare Castiglione sembra aver coniato su di me?

Di tutto questo, delle tante altre facce di Raffaello, vi racconterò ancora, più in dettaglio.

Raffaello opere 6

Cartone preparatorio per La scuola di Atene 1509, Milano, Biblioteca Ambrosiana, part. (https://www.ambrosiana.it/opere/scuola-di-atene/)
Lorenzetto, Giona che esce dalla balena (su disegno di Raffaello) 1520, Roma, Basilica di Santa Maria del Popolo, Cappella Chigi, part. (Di Peter1936F - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=31831099)
Ritratto di Baldassarre Castiglione 1514-1515 , Parigi, Musée du Louvre, © 2007 Musée du Louvre / Angèle Dequier, part. (
www.louvre.fr)

 

Bibliografia, mostre e filmati

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 5) Roma, gli anni del trionfo

Raffaello 2020

 

Ma più di tutti il grazìosissimo Raffaello da Urbino, il quale studiando le fatiche de maestri vecchi e quelle de' moderni, prese da tutti il meglio, e fattone raccolta, arricchì l'arte della pittura di quella intera perfezione che ebbero anticamente le figure di Apelle di Zeusi, e più se sì potesse dire, o mostrare l'opere di quelli a questo paragone.
(Giorgio Vasari - Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - 1568)

 

 

La Roma in cui giunsi nel 1508 pulsava di arte e di competizione.  Come combattivo era il papa, Giulio II, zio di quel Francesco Maria della Rovere figlio della mia protettrice Giovanna Feltria, che era diventato il nuovo duca della mia Urbino.

Ero ancora giovane, ma da me ormai si aspettavano solo grandi cose. Dovevo affrescare l’ambiente destinato a ospitare la biblioteca di Giulio II. Una nuova sfida, come sempre. Bastò poco perché il papa mi affidasse per intero la decorazione della sue stanze, dandomi perfino licenza di ridipingere quello che altri avevano creato. In quella che si sarebbe chiamata la Stanza della Segnatura sulle pareti apparvero uno dopo l’altro la Disputa del SS. Sacramento, la Scuola di Atene, il Parnaso, le Virtù. Dietro a quelle immagini, disegni su disegni, ogni dettaglio studiato fino allo sfinimento. Avevo bisogno di aiuto e cominciai a creare la mia bottega, una grande bottega di giovani talenti accanto a maestri già formati.

Poco più in là, Michelangelo stava dando vita alla volta della Sistina. Andai a vederla di notte, con il Bramante. Nuove suggestioni. Lo aggiunsi nella mia Scuola di Atene.

E poi la sala delle udienze, la Stanza di Eliodoro dove feci un’altra magia, la Liberazione di Pietro dal Carcere un notturno in cui gioca la luce reale e sovrannaturale, che nessuno si era ancora cimentato a fare. In questo spazio dovevo raccontare di come l’intervento divino era venuto in soccorso della Chiesa in tempi difficili: quelli che aveva conosciuto il mio committente. Non avevo ancora terminato che Giulio II morì. Nella scena dell’Incontro di Leone Magno con Attila le fattezze del papa divennero quelle del nuovo eletto, Giovanni de’ Medici, Leone X.

Eravamo nel 1513. Sotto di lui, Roma doveva diventare ancora più splendida. I miei incarichi proseguirono, si moltiplicarono. Ci fu da affrescare la terza Stanza, che sarà detta dell'Incendio di Borgo, un elogio del papa attraverso le vicende di altri pontefici che avevano portato il suo stesso nome.

Non c’erano solo gli affreschi. Ritratti, Madonne, innovative pale d’altare,, sensuali figure femminili, cardinali e papi. Avevo già ritratto Giulio II, ritrassi anche Leone X. Ogni volta nella nuova opera c’era qualcosa di più. Leggevo dentro le persone, e quello che vedevo lo restituivo nei dipinti. Il papa mi commissionò perfino i cartoni per gli arazzi con le gesta degli apostoli, realizzati nella lontana Bruxelles, che avrebbero aggiunto nuovo fulgore alla Cappella Sistina e gloria al suo pontificato.

Ai pennelli avevo ormai affiancato anche la squadra. Palazzi, certo, le Logge per il papa che non solo progettai ma che decorai con l’affiatata squadra dei miei allievi.  Arrivò anche un compito che poteva schiacciarmi. Il Bramante era morto e a me toccò proseguirne l’opera nella fabbrica di San Pietro. Il tempio più importante della Cristianità! E per di più venni fatto “praefectus marmorum et lapidum omnium”, dovevo catalogare i marmi antichi da utilizzare per la basilica, divenne un impegno per tramandare quello che rimaneva della Roma imperiale.

A Roma c’era un uomo che per ricchezza rivaleggiava con il Santo Padre, il banchiere senese Agostino Chigi.  Diventammo amici e per lui creai il Trionfo di Galatea nella sua villa che tutti gli invidiavano, ma anche, da architetto, la sua cappella di famiglia in Santa Maria del Popolo. C’era anche un’altra cosa che ci univa, la passione. La sua per la giovanissima cortigiana veneziana Francesca, che volle sposare a dispetto di tutto e tutti. La mia per la donna che ho fissato per l’eternità con al braccio un’armilla che porta il mio nome. Voi la chiamate Fornarina, per me è stato un fuoco che ha finito per divorarmi. Mi sono ammalato, la febbre mi ha consumato senza rimedio.

Da poco avevo terminato la Trasfigurazione che mi aveva commissionato il cardinale Giuliano de’ Medici. Fu posta accanto al mio letto, e davanti a essa chiusi gli occhi per sempre, il 6 aprile del 1520, un venerdì santo, lo stesso giorno in cui ero nato. «La quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava», scriverà il Vasari.

Per mia volontà le mie spoglie giacciono nel Pantheon, nella città dove la mia arte raggiunse i suoi vertici, vegliate da una Madonna che io stesso disegnai. Un’esistenza, la mia, e una carriera tutte racchiuse nelle parole che mi ha dedicato l’amico  Pietro Bembo: “Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori” “Qui è Raffaello, mentre egli prosperava la natura temette d’essere vinta, ora che è morto teme di morire”.

Raffaello opere 5

La disputa del SS. Sacramento 1508-1509, Città del Vaticano, Stanza della Segnatura, part. (www.museivaticani.va)
Trionfo di Galatea 1512, Roma, Villa Farnesina, part
.  (www.villafarnesina.it))
Trasfigurazione 1516-1520, Città del Vaticano, Musei Vaticani, part.
(www.museivaticani.va)

Bibliografia e filmati

  • Antonio Forcellino, Il secolo dei giganti. Il fermaglio di perla. Vol. 3, Harper Collins Italia, 2020 (romanzo)
  • Christoph Luitpold Frommel, Raffaello. Le stanze, Jaca Book2020
  • Antonio Paolucci, Raffaello in Vaticano, Giunti Editore, Dossier d'arte, 2013
  • Raffaello e l'immagine della natura. La raffigurazione del mondo naturale nelle decorazioni delle Logge vaticane, a cura di G. Caneva, G. M. Capaneto, Silvana Editoriale, 2011
  • Il Principe delle Arti nella Roma dei Papi  (con Alessandro Zuccari), Palazzo Altemps Roma 27 febbraio 2020 https://www.youtube.com/watch?v=HXT0v9zUQ0Y durata 1 h 07’ 48”  
  • Raffaello Il principe delle arti (con Antonio Paolucci) https://youtu.be/oNSdP6ZR7nA (Stanze di Raffaello -  Logge di Raffaello -  Villa Farnesina) - durata 18’25’’
  • La disputa del Sacramento di Raffaello ( Antonio Paolucci) https://www.youtube.com/watch?v=8odhAYowD6Y&t=182s – durata  47’ 50”
  • Villa Farnesina: https://www.villafarnesina.it/raffaello-loggia_amore_psiche.html

 

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 4) Gli anni fiorentini

Raffaello 2020

Sarà lo esibitore di questa Raffaelle pittore da Urbino,
il quale avendo buono ingegno nel suo esercizio,
ha deliberato stare qualche tempo in Fiorenza per imparare.
E perché il padre so, che  [fu] molto virtuoso, et [fu] mio
affezionato, e così il figliolo discreto, e gentile giovane;
per ogni rispetto io lo amo sommamente, e desidero che
egli venga a buona perfezione

(Lettera del 1° ottobre 1504 di Giovanna Feltria
a Pier Soderini, gonfaloniere a vita di Firenze)

 

 

 

Eccomi a Firenze! Quante opportunità di studio mi si aprivano in quella città, non solo gli artisti di grido, Leonardo e Michelangelo, fra’ Bartolomeo, ma anche gli antichi maestri – Masaccio, Donatello - erano lì, sotto i miei occhi. Io osservavo, disegnavo, fissavo ciò che di loro mi colpiva, rielaboravo e riversavo nei miei dipinti, in cui emergevano via via nuove modalità compositive e forme più grandiose e possenti.

In quella città dovevo ancora farmi la mia strada, ma le terre dove ero cresciuto non mi dimenticavano, e da là continuavano ad arrivare le commissioni, che talvolta realizzavo a Firenze, talvolta mi riportavano là. I ritratti per la corte urbinate, la pala Colonna, la pala Ansidei per Perugia, più tardi anche la pala d’altare voluta da Atalanta Baglioni nella chiesa di San Francesco al Prato per commemorare la morte violenta del figlio, con al centro la Deposizione di Cristo. Ci ho lavorato molto su quell’opera, cambiando la composizione fino a bilanciare alla perfezione dolore, dinamismo, monumentalità, nella molteplicità e unicità dei moti dei corpi e delle anime, tanto che un secolo dopo un papa, Paolo V, arriverà a “rapirla” per farne dono al nipote cardinale Scipione Borghese.

Non ci sarebbe voluto molto, mi sono fatto amicizie tra pittori e architetti e i fiorentini più facoltosi si sarebbero accorti del mio talento e mi avrebbero commissionato immagini sacre e ritratti. Di uno stesso tema proporrò infinite varianti, allontanandomi sempre più dai modelli del Perugino e catturando nuove suggestioni; dei miei quadri diranno che “Raffaello anima le figure dall’interno”.  Le mie Madonne si stagliano leggiadre nel paesaggio riempiendolo con la loro presenza, in un intimo, spesso tenero, quasi quotidiano, rapporto con il Bambino e le altre figure, in composizioni che si fanno più complesse ma sempre nel segno dell’armonia.

Come scrisse Vasari, ero «nella città molto onorato e particolarmente da Taddeo Taddei, il quale lo volle sempre in casa sua e alla sua tavola, come quegli che amò sempre tutti gli uomini inclinati alla virtù». Per lui ho realizzato la Madonna del Prato.

E poi il facoltoso mercante Agnolo Doni, che si fece ritrarre con la sua giovane sposa, Maddalena Strozzi, che ho reso in una posa ispirata sì a Leonardo ma rivista con il mio sguardo indagatore della psiche e l’eco dell’attenzione fiamminga al dettaglio che ho appreso ad Urbino. E Lorenzo Nasi per cui feci la Madonna del Cardellino; quando più tardi la casa di suo figlio Giovan Battista, che la ereditò, fu travolta da una frana, costui era assai più disperato per i danni subiti dalla mia opera che per le altre ingenti perdite subite. Per suo cognato Domenico ho dipinto la Sacra Famiglia Canigiani che da lui prende nome.

Tra i ritratti che ho fatto allora c’è anche il mio, il volto con cui sono, perdonatemi il vanto, universalmente conosciuto.

A concludere quegli anni c’è l’unica pala d’altare che mi fu richiesta a Firenze, una Sacra conversazione per la cappella della famiglia Dei nella chiesa di Santo Spirito, la Madonna del Baldacchino, dove la Vergine in trono si staglia su un grandioso fondale architettonico, con santi e angeli circolarmente legati da sguardi e gestualità. Un’opera innovativa, che verrà studiata e presa a modello.

Ma non ho avuto il tempo di finirla. Era arrivata la chiamata del Papa, di me gli aveva parlato il mio conterraneo Bramante, scrive Vasari. Giulio II mi voleva per affrescare le sue stanze, quale artista avrebbe potuto indugiare?

Raffaello opere 4

Ritratto di Agnolo Doni 1504-07 circa, Firenze, Uffizi, part. (www.uffizi.it/opere/ritratti-doni-raffaello)
Deposizione di Cristo (Pala Baglioni) 1507, Roma, Galleria Borghese, part.
galleriaborghese/deposizione-di-cristo/
Madonna col Bambino in trono e Santi (Madonna del baldacchino) 1507-1508, Firenze, Galleria Palatina, part. (
https://fotoinventari.uffizi.it/)

Bibliografia, mostre e filmati:

  • Silvano Vinceti, Raffaello a Firenze, Armando Editore 2020
  • Raffaello: la Deposizione in Galleria Borghese: il restauro e studi storico-artistici, a cura di Kristina Herrmann Fiore,  F. Motta 2010.
  • Raffaello a Firenze. Dipinti e disegni delle collezioni fiorentine, a cura di M. Gregori, Firenze 1984 (catalogo della mostra,  Firenze, Palazzo Pitti, 11 gennaio – 29 aprile 1984)
  • Raffaello a Firenze al tempo della Repubblica di Pier Soderini  (con Antonio Natali),Palazzo Altemps Roma 20 febbraio 2020 https://www.youtube.com/watch?v=Y5ty_JZYmHo durata 1h 03’ 03”
  • Raffaello 2020 - Il giovane Raffaello a Firenze (con Cecilia Prete)  Mooc - Università degli Studi di Urbino Carlo Bo https://www.youtube.com/watch?v=L4A3-kF0xqg durata 50’02”
  • Dialogues. L'opera del lunedì, la Deposizione Borghese di Raffaello (con Claudio Strinati) 20 maggio 2019 https://www.youtube.com/watch?v=icFEhn05DZw durata 17’20”
  • Uffizi TV - I coniugi Doni di Raffaello (con Marzia Faietti)  31 gennaio 2019 https://www.youtube.com/watch?v=zfvHhw4FDTw durata 18’34”

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 3) Tra Perugia e Siena

 

Raffaello 2020

 

“El maestro migliore li fusse consigliato da
più cittadini et ancho da li nostri venerandi
padri, li quali avevano vedute le opere suoi”

(dall’accordo per una pala per le monache
di Monteluce, poi realizzata dagli allievi di Raffaello)

 

 

 

 

All’alba dei miei vent’anni mi muovevo tra l’Umbria e le mie Marche natie, i luoghi della mia formazione di uomo e d’artista a cui resterò legato e per cui continuerò a realizzare dipinti anche quando la mia stella mi porterà altrove. Ma mi recavo anche ovunque spirasse un vento di novità, brevi viaggi là dove i miei occhi potevano posarsi su nuove - o antichissime - fonti d’ispirazione.

A Perugia la commissione per la Pala Oddi è stato lo spunto per fondere quanto appreso da Perugino e Pinturicchio ma anche per sperimentare soluzioni nuove, con quell’attenzione per i dettagli che mi avrebbe accompagnato sempre. Il compenso questa volta era arrivato a centosettantasette ducati, le mie quotazioni salivano rapidamente. Gli Oddi erano una delle due famiglie che controllavano Perugia. Per l’altra, i Baglioni, qualche anno più tardi avrei realizzato quella Deposizione che un cardinale romano sarebbe arrivato a trafugare pur di possederla.

A proposito di Roma, ho fatto un salto anche là, al tempo dell’elezione del nuovo papa Giulio II, senza sapere ancora quanto sarebbe stato importante per me.

È di quel periodo anche Il sogno del cavaliere; anch’io avevo grandi sogni.

A Siena sono arrivato chiamato dal Pinturicchio, al lavoro nella Libreria Piccolomini, dove stava affrescando dieci scene sulla vita di papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini. Da me non voleva un aiuto per dipingere bensì idee più fresche, anche se poi non se ne è lasciato sedurre del tutto, non le ha accolte appieno.

Nel frattempo a Città di Castello avevo realizzato anche lo Sposalizio della Vergine, “… in San Francesco ancora della medesima città fece di una tavoletta lo Sposalizio di Nostra Dama” scrisse il Vasari. Dopo molte vicissitudini, questa mia opera è oggi, da ormai due secoli, alla milanese Pinacoteca di Brera. E anche lì non sarebbe stata ancora al sicuro: nel 1958 è stata addirittura pugnalata.

Lo Sposalizio è stato una sfida a distanza con il Perugino che aveva affrontato lo stesso tema. Avevo studiato a lungo la sua opera, la conoscevo così bene da potermi permettere di partire da quel punto, per creare qualcosa che portasse un marchio del tutto diverso, il mio. Le figure si ammorbidiscono, si animano, lo spazio si apre, si fa tridimensionale, l’edificio sullo sfondo riecheggia un’opera che avevo visto da fanciullo, quella Città ideale posta nel Palazzo ducale di Urbino, la mia città che stavo per lasciare. È un edificio vero, profezia del me stesso architetto. Avevo cominciato a parlare una lingua nuova, ma lo facevo prendendo le mosse da quella corrente.

Quel dipinto chiudeva una fase della mia vita.

Era il 1504, mi aspettava Firenze, la città dove l’arte stava cambiando, la città dove Leonardo e Michelangelo si stavano sfidando a colpi di capolavori. Non potevo restare lontano, ho perfino lasciato in sospeso commissioni pur di partire.

La lettera di raccomandazione me l’ha scritta Giovanna Feltria, figlia di quel duca Federico per cui lavorò mio padre, e cognata del nuovo papa.

Raffaello opere 3

Incoronazione della Vergine (Pala Oddi), Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano, part. (www.museivaticani.va/content/museivaticani/it/collezioni/musei/la-pinacoteca/sala-viii---secolo-xvi/raffaello-sanzio--incoronazione-della-vergine.html)
Il sogno del cavaliere, National Gallery, Londra, part. (
www.nationalgallery.org.uk/artists/raphael)
Lo Sposalizio della Vergine, Pinacoteca di Brera, Milano,
part. (https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/sposalizio-della-vergine/)

 

Bibliografia, siti e filmati:

 

  • Costantino D’Orazio, Raffaello. Il giovane favoloso, Skira 2020
  • Marco Carminati, Raffaello pugnalato, Il Sole 24 Ore 2019
  • Paolo Franzese, Raffaello, Mondadori Arte, Milano 2008.
  • · Primo dialogo Raffaello e Perugino (con James M. Bradburne, direttore generale della Pinacoteca di Brera e della Biblioteca Nazionale Braidense) nell’ambito della mostra “Raffaello e Perugino attorno a due Sposalizi della Vergine” (17 marzo-27 giugno 2016 Pinacoteca di Brera, Milano), https://www.youtube.com/watch?v=cTkYYzzc600, durata 8’ 36”.
  • “Lo Sposalizio della Vergine” (con Marco Carminati), programma “Museo Nazionale” 18.04.2015, Radio RAI3 http://www.rai.it/dl/portaleRadio/media/ContentItem-74857d70-04fb-4067-b425-4059cf34f038.html, durata 41’ 55”.
  • Documentario “Raffaello”  (2014) prima parte www.youtube.com/watch?v=r-mlxbd52Ig, durata 23’ 48”; seconda parte https://www.youtube.com/watch?v=-fa_uXEipSQ, durata 17’ 19”
  • Mostra in programma: “Fortuna e mito di Raffaello in Umbria”, da giugno a ottobre 2020 al Museo civico di Palazzo Penna a Perugia, a cura del Comune di Perugia.

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 2) Città di Castello: il giovane magister

Raffaello 2020

 

È cosa notabilissima che, studiando Raffaello la maniera di
Pietro [Perugino], la imitò cos’ a punto et in tutte le cose che i
suo’ ritratti non si conoscevano dagli originali del maestro e
fra le cose sue e di Pietro non si sapeva certo discernere

(Giorgio Vasari - Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani,
da Cimabue insino a' tempi nostri - 1568)

 

 

Il mio primo contratto l’ho firmato a 17 anni, come Rafael Johannis Santis de Urbino magister. Magister, ovvero un pittore con una sua bottega. Una bottega che dall’anno precedente si era spostata da Urbino a Città di Castello, località che faceva allora parte delle terre governate dai Montefeltro.

L’unica mia opera che sarebbe rimasta a Città di Castello, là dove era nata, è il Gonfalone della Santissima Trinità, voluto dai confratelli dell’omonima chiesa come ringraziamento per la fine di una pestilenza – non a caso sono raffigurati i santi Rocco e Sebastiano.

Ma ritorniamo al contratto: il mio nome era affiancato a quello di Evangelista da Pian di Meleto, uno dei compagni di lavoro di mio padre, ma del mio talento se ne erano ormai accorti in molti. Il mio committente era un mercante di lana, il compenso 33 ducati, non molto per una pala: San Nicola da Tolentino trionfa sul diavolo per la cappella Baronci nella chiesa di Sant’Agostino, di cui dopo un terribile terremoto alla fine del Settecento non restano che frammenti dispersi in vari musei, ma era un lavoro di prestigio. Già trapelavano le mie doti, quell’attenzione alla realtà, quella mia capacità di osservare i maestri cogliendone il meglio e dando un’innovativa nota personale, che emergerà sempre più di opera in opera.

Era il 10 dicembre del 1500: si chiudeva un secolo, se ne apriva un altro e il mio astro sarebbe salito sempre più in alto. In breve sarei diventato famoso quanto Perugino, Pinturicchio o Signorelli. Della mia Crocifissione Gavari, realizzata anch’essa a Città di Castello pochi anni più tardi, il Vasari avrebbe scritto che, non fosse stato per la presenza del mio nome, “nessuno la crederebbe di Raffaello, ma sì bene di Pietro”. Ma a chi la guardava attentamente, non poteva sfuggire che non erano del Perugino il legame tra persone e paesaggio e la scansione dello spazio, ma solo miei.

Non mi bastava essere all’altezza dei maestri. La sfida era arrivare più in alto di loro.

Raffaello opere 2

Gonfalone della Santissima Trinità, Pinacoteca comunale, Città di Castello, part.(www.raffaelloinumbria.it);
Angelo dalla Pala Baronci, Pinacoteca Tosi Martinengo, Brescia, part. (www.bresciamusei.com)
Crocifissione Gavari o Mond, National Gallery, Londra, part. (www.nationalgallery.org.uk)

Bibliografia, siti e filmati:

  • Raffaello. Opera prima, SAGEP, 2015
  • John Shearman, Studi su Raffaello, Mondadori Electa, 2007
  • Antonio Forcellino, Raffaello. Una vita felice, Laterza 2009
  • Hugo Chapman, Tom Henry, Carol Plazzotta, Raffaello. Da Urbino a Roma. (Catalogo della mostra, Londra, 20 ottobre-16 gennaio 2005), 5 Continents, Milano 2004
  • John Shearman, Raphael in Early Modern Sources, 1483-1602, Yale University Press, 2003
  • Raffaello 1520-2020 (MiBACT) https://www.youtube.com/watch?v=qJiSm9y-jzE, durata 1h 10’ 47”
  • Regione Umbria: www.raffaelloinumbria.it
  • Mostra in programma:  “Raffaello giovane a Città di Castello e il suo sguardo”, prevista da ottobre 2020 a gennaio 2021 alla Pinacoteca comunale di Città di Castello.

 

A 500 anni dalla morte. Raffaello, l’uomo e l’artista – 1) Nascita e giovinezza

Raffaello 2020

 

Nacque adunque Raffaello in Urbino,
città notissima in Italia, l’anno 1483, in venerdì santo a ore tre di notte,
d’un Giovanni de’ Santi, pittore non molto eccellente, ma sì bene uomo
di buono ingegno et atto a indirizzare i figliuoli per quella buona via che a lui, per mala fortuna sua,
non era stata mostra nella sua gioventù.

(Giorgio Vasari - Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani,
da Cimabue insino a' tempi nostri - 1568)

 

 

Sono nato a Urbino il 6 aprile 1483 e il 6 aprile di 37 anni più tardi, nel 1520, si chiuderà il mio  percorso terreno, in un cerchio perfetto degno dell’artista che sono stato.

Mi hanno dato il nome di un arcangelo, Raffaello. Raphael Urbinas, figlio di una città sinonimo d’arte e di cultura.

Mio padre era Giovanni, pittore e letterato. Di cognome faceva Santi, che nel mio caso diventerà Sanzio e che sulle mie opere vergherò  in latino, “Sancti”.

Il nome di mia madre era Magia di Battista di Ciarla. Non sono stati  molti gli anni che abbiamo passato assieme: è morta il 7 ottobre 1491 e mio padre si è sposato nuovamente, con Bernardina di Pietro Parte, ma i rapporti non sono stati idilliaci.  Sono rimasto in contatto con mio zio materno, Simone, che m’era “carissimo quanto patre” e due lettere  che gli ho scritto in seguito da Firenze e da Roma sono giunte fino ai giorni vostri.

 

Mio padre era a capo di una fiorente bottega che godeva di un discreto successo e lavorava per i duchi di Urbino. Quindi sono cresciuto tra i colori e i pennelli e seguendo mio padre nelle sale di Palazzo Ducale ho potuto conoscere quello che avevano realizzato e andavano realizzando Piero della Francesca, Luciano Laurana, Francesco di Giorgio Martini, Antonio del Pollaiolo, Melozzo da Forlì ma anche stranieri, come Pedro Berreguete e Giusto di Gand. Insomma ho respirato arte.

Giovanni Santi, mio padre, conosceva bene la pittura del suo tempo, tanto che ci ha scritto una Cronaca rimata, in cui elenca pittori fiamminghi oltre che fiorentini e dell’Italia settentrionale dandone importanti giudizi.  L’aveva scritta in occasione delle nozze del duca Guidobaldo ed Elisabetta Gonzaga in onore del padre dello sposo, il duca Federico da Montefeltro.

Secondo la tradizione, quando avevo sui nove anni, mio padre avrebbe dato le mie fattezze all’angelo accanto a San Francesco nella Sacra Conversazione della Cappella Tiranni nella chiesa di San Domenico in Cagli, non lontano da Urbino.

Ma la sorte sembrava accanirsi contro di me: il 1º agosto del 1494 mio padre è morto. A undici anni appena mi sono trovato a ereditarne l'attività.

Dei miei anni giovanili non ci sono molte testimonianze, ma una si trova nella mia casa di famiglia ed è un affresco, chiamato la Madonna di Casa Santi. A quel tempo, frequentavo la bottega del Perugino.

 

Raffaello opere

Cortile della casa di Raffaello a Urbino (www.casaraffaello.com);  Sacra Conversazione, Cappella Tiranni (part.) foto Alberto Mazzacchera CC BY-SA 3.0, ; La Madonna di casa Santi (part.) (www.turismo.marche.it)
Pierre-Nolasque Bergeret, Onori pagati a Raffaello dopo la sua morte (Honneurs rendus à Raphaël après sa mort), 1806 Rueil-Malmaison (https://musees-nationaux-malmaison.fr/phototheque/oeuvres)


Bibliografia e filmati:

*Raffaello e gli amici di Urbino. a cura di Barbara Agosti, Silvia Ginzburg (Catalogo della mostra, Urbino, 3 ottobre 2019-19 gennaio 2020). Centro Di 2019
*Costantino D’Orazio, Raffaello segreto. Dal mistero della Fornarina alle stanze vaticane, Sperling & Kupfer, 2015
*Lorenza Mochi Onori, Raffaello e Urbino: la formazione giovanile e i rapporti con la città natale, Galleria nazionale delle Marche, Electa 2009
(Catalogo della mostra, Urbino, 4 aprile-12 luglio 2009)
*Una passeggiata per la mostra Raffaello 1520-1483 (Roma, Scuderie del Quirinale)
https://www.youtube.com/watch?v=F3JDrfGfGUk durata 12’49”
*La giovinezza di Raffaello (con Silvia Ginzburg) - gli incontri prima della mostra alle Scuderie del Quirinale,  Palazzo Altemps Roma 6 febbraio 2020
https://www.youtube.com/watch?v=mA2siU10c8w durata 1 h 01’ 14”